lunedì 8 giugno 2009

Dall’Italia al Sudtirolo: prove tecniche di integrazione

Articolo per Skolast:
di Paolo Attanasio

Dall’Italia al Sudtirolo: prove tecniche di integrazione
Quando la redazione di Skolast mi ha chiesto una riflessione sull’attuale situazione in cui versa l’Italia a proposito della perversa spirale che si avvita fra esplosioni di intolleranza razziale, minimizzazioni da parte dei media e involuzione sicuritaria della legislazione nei confronti degli stranieri, mi sono detto che sicuramente non sarebbe stato un problema scrivere un articolo sul tema, data l’abbondanza di fatti, narrazioni e commenti esistenti in proposito. Al contrario, però, la difficoltà si è rivelata proprio quella, in un certo senso, di non saper da dove cominciare, appunto perché le manifestazioni in questo senso si accavallano e si inseguono senza sosta, e i segnali dell’involuzione razzista sono tanto più preoccupanti in quanto coperti da quella patina di indifferenza generale che li rende possibili e, in fondo, quasi giustificati. L’ubriacatura collettiva per la sicurezza ha preso un tale slancio, che orami più di un commentatore descrive l’Italia come un paese “neo-proibizionista”, in cui le amministrazioni locali (soprattutto del centro-nord) fanno a gara nell’escogitare e mettere in pratica i divieti più fantasiosi (dalla recentissima normativa regionale “anti-kebab” in Lombardia, al divieto di servire pietanze “esotiche” nel centro storico di Lucca, fino alle panchine che impediscono di sdraiarsi di Verona). Ovviamente le “vittime” di questo giro di vite non solo soltanto gli stranieri, ma è ovvio che proprio i migranti risultano essere i più colpiti, in quanto anello debole della catena.
Cerchiamo innanzitutto di sgombrare il campo da un luogo comune che ultimamente si sente spesso ripetere, anche a mo’ di giustificazione: non è la recentissima crisi economico-finanziaria scoppiata nella seconda metà del 2008 il motore di questa tendenza, che invece è iniziata molto prima (si pensi ad esempio all’assalto al campo rom di Opera, in Lombardia, del 2006). In realtà, dal 2002 in poi (anno di approvazione della Bossi-Fini) la legislazione italiana si trova su un piano inclinato, e la normativa nazionale sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero è andata sempre più inasprendosi, nell’erronea illusione che più repressione potesse fermare o almeno limitare l’immigrazione clandestina. In realtà, il fenomeno dell’immigrazione clandestina è da vedersi paradossalmente come l’unico canale di entrata in un paese che chiude progressivamente tutti gli altri.
Fin da quando l’Italia è diventata un paese di immigrazione (e cioè, grosso modo, negli anni ’80) il governo del fenomeno è sempre stato tendenzialmente negato e ignorato, oppure considerato in maniera residuale. Ciò essenzialmente perché si tratta di un tema che, se considerato in termini realistici e positivi, cioè di gestione di un fenomeno finalizzata all’obiettivo della coesione sociale, risulta poco fruttuoso in termini politici ed elettorali. Al contrario, se lo si trasforma in una questione di sicurezza, di tutela del cittadino autoctono rispetto alla presunta caduta di benessere o di servizi e privilegi fino ad allora fuori discussione (come ad esempio la casa) o, ancor peggio, di identità minacciata da una supposta Überfremdung, ecco che l’argomento si trasforma in una miniera d’oro, ampiamente sfruttabile per la creazione di improbabili fortune politiche.
La miope politica governativa sembra voler fare di tutto per costruire un consenso popolare attorno a misure che rendano sempre più invivibile il nostro paese per gli stranieri, anche se perfettamente regolari. Solo per citare alcuni esempi, pensiamo alla difficoltà di accedere alla cittadinanza italiana per naturalizzazione: la nostra legislazione (a ragione definita “familismo legale” da Giovanna Zincone, una delle maggiori studiose italiane del fenomeno) prevede dieci anni di residenza legale in Italia solo per fare domanda di naturalizzazione, ai quali bisogna poi aggiungere un numero imprecisato e variabile di anni per ottenerla. A mo’ di confronto, si pensi che gli anni necessari per la naturalizzazione sono 5 in Francia, 3 in Belgio, e 8 perfino in Germania, paese tradizionalmente legato allo jus sanguinis, che li ha dimezzati con l’ultima riforma. Sempre in base al diritto del sangue, che regna incontrastato in Italia, chi nasce in Italia da genitori stranieri è condannato ad una vita da extracomunitario fino alla maggiore età. E come la mettiamo con i milioni di stranieri residenti in Italia da diversi anni, che non hanno alcun diritto di partecipazione politica, neppure a livello comunale? Si tratta di “un deficit di democrazia che lede il principio del suffragio universale”, come ha di recente affermato Pietro Soldini, responsabile immigrazione della CGIL, una regola che mette in discussione la qualità stessa della nostra democrazia rappresentativa, soprattutto al confronto con altri Paesi europei (Paesi Bassi, Belgio, Danimarca, Spagna, Regno Unito, Irlanda, Svezia, Ungheria, solo per citarne alcuni) dove gli stranieri non comunitari godono da decenni del diritto elettorale attivo e passivo nelle consultazioni di livello locale.
Con tali premesse, appare francamente difficile chiedere ai nuovi italiani uno sforzo per integrarsi, laddove è noto che l’integrazione rappresenta un processo reciproco, in cui anche il paese che accoglie deve dare concreti segnali di apertura. E infatti, al posto dei concreti segnali di apertura, quello che invece ci piove addosso è il cd. pacchetto sicurezza, oggetto negli ultimi mesi di un costante gioco al rialzo fatto di successive proposte di emendamento volte ad inasprirlo sempre più (e a guadagnare facili consensi, parlando alla pancia della gente). Molto è stato già detto sul pacchetto sicurezza e sulle sue norme più odiose, dall’introduzione del reato di immigrazione, alla denuncia degli irregolari da parte del personale sanitario, all’allungamento dei tempi di permanenza nei CPT (ribattezzati CIE, centri di identificazione ed espulsione). Alcuni studiosi, come ad esempio Maurizio Ambrosini, hanno giustamente fatto notare che, tra le molte norme del pacchetto sicurezza, nessuna inasprisce le pene per i datori di lavoro di immigrati irregolari. Anzi, i controlli ispettivi sui luoghi di lavoro sono stati alleggeriti”. Al momento di scrivere queste righe, assisitiamo ad una sorta di tiro alla fune sull’introduzione delle ronde e sull’allungamento delle permanenza nei CIE. Ancora in forse l’abolizione del divieto di denunciare gli immigrati irregolari da parte del personale sanitario. E’possibile che si tratti solo di “incidenti di percorso”, che ad ogni modo fanno ben sperare, sia sull’esistenza di un’opposizione, sia sulla scarsa disponibilità della maggioranza di governo a seguire il delirio sicuritario della sua ala più oltranzista. Questa involuzione dell’Italia non è passata inosservata all’estero, e diversi organismi internazionali che vigilano sul rispetto dei diritti umani l’hanno segnalata con preoccupazione al governo nazionale. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), ad esempio, esprime preoccupazione, in un suo rapporto del 2009, per le “violazioni di diritti umani fondamentali, specialmente di migranti irregolari provenienti da Africa, Asia ed Europa dell’Est, e per un clima apparentemente di crescente intolleranza, violenza e discriminazione nei confronti della popolazione immigrata, soprattutto dei Rom di origine rumena”. Oltre all’ OIL, anche il Consiglio d’Europa esprime la sua preoccupazione sulla maniera in cui il nostro paese gestisce le politiche migratorie e sull’ampio spazio che lascia alle manifestazioni di razzismo. “Nonostante siano stati compiuti degli sforzi – afferma il commissario ai diritti umani Hammarberg – permangono preoccupazioni per quanto riguarda la situazione dei rom, le politiche e le pratiche in materia di immigrazione e il mancato rispetto dei provvedimenti provvisori vincolanti richiesti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo”. “Le autorità – ha aggiunto – dovrebbero condannare più fermamente ogni manifestazione di razzismo o di intolleranza e garantire l’effettiva applicazione della legislazione anti-discriminazione”.
La situazione in Sudtirolo
Se questo è, in breve, il quadro a livello nazionale, qual è la situazione nella nostra autonoma provincia? Come è nelle tradizioni di questa terra, i toni del confronto politico sono (fortunatamente per chi deve seguirlo) più smorzati e soffusi. Al di là di questo, però, anche qui da noi non mancano i segnali di insofferenza verso una reale integrazione degli stranieri nella nostra società locale, e le tendenze a privilegiare il modello della cd. “integrazione subalterna”.
Per quanto riguarda il panorama legislativo, la provincia autonoma di Bolzano è l’unico ente territoriale italiano a non essersi ancora dotato di una legge provinciale sull’integrazione dei cittadini stranieri, prevista fra l’altro dalla legislazione nazionale. A questo proposito va ricordato che non solo tutte le regioni e le province autonome italiane dispongono ormai di una propria legge sull’immigrazione, ma che diverse fra queste sono già alla seconda o alla terza generazione (di pari passo con l’evolversi della normativa nazionale). Nel 2004, in verità, l’amministrazione provinciale aveva nominato un gruppo di lavoro ad hoc con il compito di elaborare un disegno di legge: la bozza prodotta però, presumibilmente per motivi di opportunità politica, non è mai approdata all’esame della Giunta provinciale. Già negli anni scorsi, infatti, il clima politico e l’attitudine dell’opinione pubblica nei confronti del fenomeno migratorio erano sensibilmente peggiorati, e quindi un’iniziativa legislativa considerata “in favore” degli immigrati non sarebbe stata politicamente pagante.
Un altro segnale poco incoraggiante è la “delocalizzazione” dell’Osservatorio provinciale sulle immigrazioni presso l’EURAC, che ha anche coinciso con un drastico ridimensionamento delle sue attività e del personale. Sembra che sia ora intenzione dell’attuale giunta provinciale riprendere il pieno controllo di questo importante strumento di ricerca e di indirizzo dell’attività politica, che per diversi anni ha operato in maniera efficace, ancorché con un precario status di progetto.
Passando a questioni che più concretamente influenzano la qualità della vita degli stranieri nel nostro territorio, è da registrare una recente restrizione al diritto alla casa. Fra i diritti sociali, l’alloggio è forse il più importante, sia per il significato di integrazione che possiede, sia anche perché spesso consente il ricongiungimento con la famiglia lontana. Dall’altra parte, la casa rappresenta il bene identitario per eccellenza, soprattutto in un territorio come il nostro, segnato da divisioni storiche non ancora riassorbite. Si tratta quindi, purtroppo, di un terreno di scontro privilegiato fra “autoctoni” (parola, fra l’altro, quanto mai ambigua in un contesto come quello sudtirolese) e nuovi residenti. Negli ultimi anni, il diritto degli stranieri residenti in provincia di avere accesso all’edilizia abitativa agevolata come tutti gli altri cittadini (stabilito fra l’altro dalla normativa nazionale) è stato costantemente sottoposto al bombardamento mediatico di una “politica dell’annuncio” che anticipava modifiche restrittive a questo diritto, sostenendo che gli stranieri beneficerebbero in maniera “eccessiva” delle sovvenzioni pubbliche locali all’abitazione. A lungo, dunque, il decisore politico locale ha voluto “saggiare”, per così dire, la risposta dell’opinione pubblica rispetto ad un possibile giro di vite nella materia, preannunciandolo senza mai effettivamente realizzarlo. La stampa locale ha naturalmente svolto la propria funzione di cassa di risonanza, ampliando e “drammatizzando” opportunamente l’annuncio. In realtà, nella seconda metà del 2008 le forze politiche sono addivenute ad un accordo che ha dato vita alla riforma della legge provinciale sull’edilizia abitativa agevolata. Sintetizzando al massimo, la riforma prevede che anche il cd. “sussidio casa” (contributo all’affitto sul mercato libero) sia riservato ai residenti da almeno cinque anni in provincia. La legge introduce inoltre il principio del contingentamento delle abitazioni IPES disponibili per l’ affitto agli stranieri extra-UE secondo la loro consistenza numerica, mentre precedentemente l’unico criterio di assegnazione era, di fatto, quello del fabbisogno. Un’altra disposizione limita poi la presenza di famiglie straniere (sempre extra-UE) al 10% in ogni condominio. La norma si presta a diversi livelli di lettura: da una parte appare evidente la preoccupazione del legislatore di non concentrare gli immigrati (“socialmente indesiderabili”), in pochi condomini, in cui verrebbero a trovarsi in maggioranza. Il fatto che siano considerati come un peso e un elemento di disturbo giustifica quindi il tentativo di “ripartire l’onere”. Ma oltre a ciò, si può notare che la norma, impedendo una presenza di immigrati superiore al 10% per edificio, introduce di fatto un tetto del 10% (non previsto dalla legge del 1998) alla presenza di immigrati nella totalità degli alloggi di edilizia abitativa residenziale.
Tutto sommato, l’intervento sul diritto alla casa (e sulla parità di diritti con gli altri residenti) appare piuttosto pesante, soprattutto se si considera che la comunità immigrata in provincia ha fornito nel 2005 una contribuzione fiscale di oltre 71 milioni di Euro, a fronte di un reddito prodotto di oltre 230 milioni, come risulta dai dati relativi alle dichiarazioni dei redditi del 2005, forniti dall’ INPS. Sarebbe quindi di estrema importanza cercare di sostenerne gli sforzi di integrazione con tutti i mezzi disponibili, invece di frustrarne le legittime aspirazioni.
Ma non sono soltanto le concrete modifiche legislative a lasciare perplessi, quanto piuttosto anche i tentativi “ a monte” di teorizzare il grado di “integrabilità” degli stranieri nella comunità locale, differenziandolo per colore della pelle e provenienza. A questo proposito, ricordiamo un documento sull’immigrazione a livello locale, elaborato e presentato da alcuni esponenti della Südtiroler Volkspartei (SVP) nel 2007. Il documento, sostenendo che gli immigrati di religione musulmana sono difficilmente integrabili in quanto portatori di un messaggio di intolleranza, propone un modello di integrazione subalterna di fatto simile all’assimilazionismo, e auspica un’immigrazione limitata sia nel numero che nella tipologia, augurandosi che gli stranieri da “accogliere” provengano essenzialmente da quell’ “abendländisch geprägten – vor allem europäischen – Kulturkreis”. Al di là di questa “selezione a monte”, gli estensori del documento chiedono che i migranti provenienti da paesi esterni all’Unione europea vengano ammessi a fruire delle prestazioni sociali e dei benefici riguardanti l’edilizia abitativa agevolata solo in misura limitata e comunque proporzionale alla loro consistenza numerica, di modo che “sie nicht Einwanderungsgrund werden”. Anche se il documento è rimasto formalmente allo stadio di proposta, non è difficile constatare che alcuni suoi punti sono stati direttamente ripresi dal legislatore provinciale nella riforma della disciplina dell’edilizia abitativa provinciale.
Conclusioni e prospettive future
Come si vede, anche in Sudtirolo non mancano segnali capaci di destare una certa preoccupazione. Al di là di questa, che, come si è visto, rappresenta una tendenza generale sia a livello nazionale che internazionale, in alcuni casi la reazione della società civile e di alcuni esponenti politici (nonché della magistratura) è riuscita a fermare (almeno per il momento) i tentativi più scoperti di creare un “allarme sicurezza” attorno ad alcuni episodi di cronaca. E’ quindi positivo che la giunta comunale che governa la città di Bolzano abbia finora resistito alle pressioni di chi pretende di risolvere con un’ordinanza di tipo repressivo la presenza di alcuni stranieri che chiedono l’elemosina per le vie del centro cittadino, come pure positiva è la sentenza emessa nel mese di aprile dal T.A.R. di Bolzano che annulla un’ordinanza analoga emessa nel 2008 dalla città di Merano. Un altro segnale incoraggiante – con il quale concludiamo questa riflessione – è che anche i cittadini stranieri che vivono nella nostra provincia iniziano ad organizzare una propria opposizione alla deriva sicuritaria che minaccia di lambire anche questo territorio.
Dall’inizio del 2009 è infatti attiva a Bolzano una rete di coordinamento di cittadini stranieri e italiani (La Rete per i diritti dei Senza Voce), creata con l’obiettivo principale di informare e sensibilizzare l’opinione pubblica locale sui temi legati all’immigrazione, ma anche di denunciare episodi di razzismo e xenofobia, fornendo assistenza alle vittime. La Rete, nata sull’onda dell’opposizione al pacchetto sicurezza, ha già promosso un’iniziativa pubblica a Bolzano, proprio sul tema della nuova legislazione nazionale, e ha attivamente partecipato alla manifestazione del 25 aprile scorso. Un segnale importante, con il quale si ribadisce il diritto/dovere degli stranieri di entrare a pieno titolo in tutti gli aspetti della vita pubblica nazionale e locale.
Non a caso un’iniziativa dal basso come la Rete nasce in un periodo di difficoltà economica, in cui la crisi occupazionale (che, se colpisce in primo luogo gli stranieri, si fa ovviamente sentire pesantemente anche sui cittadini italiani) può facilmente scatenare guerre tra poveri e disgregare il già fragile tessuto sociale locale. L’aspetto forse più innovativo della Rete è proprio il fatto che l’iniziativa è partita da un gruppo di cittadini stranieri, cui si sono poi affiancati diversi autoctoni.
Anche qui registriamo quindi una significativa inversione di tendenza rispetto alle molte organizzazioni per i diritti degli stranieri, di fatto monopolizzate da cittadini italiani.
Iniziative come quelle della Rete (che, fra l’altro, già vanta solidi contatti con organizzazioni anti-razziste a livello nazionale) lasciano indubbiamente ben sperare nella capacità dei cittadini locali (al di là della diversità di lingua, provenienza e passaporto) di auto-organizzarsi e di far sentire la propria voce sia al decisore politico che alla cittadinanza locale.

venerdì 5 giugno 2009

Alcuni dati sulla criminalità secondo il rapporto Caritas 2008

Alcuni dati sulla criminalità secondo il rapporto Caritas 2008
nel quinquennio 2001-2005 la popolazione immigrata regolare è raddoppiata, passando da 1.334.889 a 2.670214 persone( più l'aumento non stimabile degli irregolari) Nello stesso quinquennio le denuncie degli stranieri non sono raddoppiate , ma aumentate meno della metà, cioè il 45%,Secondo Gian Antonio Stella in un articolo sul Corriere ,le rapine erano 40 mila agli inizi degli anni 90 quando erano pochi gli stranieri presenti , sono diventate 50mila nel 2006 (più 25%) mentre la popolazione immigrata è aumentata di 5 volte(più 400% ).

Si sfata quindi l'idea del rapporto proporzionale tra aumento degli immigrati e aumento dei reati.
nel 2007in italia ci sono stati 2000 stupri denunciati e l'italia è all'11 posto in Europa per questo reato (dopo la Gran bretagna, la Francia, la Germania,la Spagna. In Italia gli stupri denunciati in relazione alla popolazione femminile sono lo 0,01 ),mentre in Belgio e Svezia per esempio sono lo 0.05 e in USA lo 0,13. ,Sempre nel 2007 gli stupri commessi dagli stranieri sono il 10% del totale rispetto agli italiani e il 69% è commesso da italianissimi partner,mariti , fidanzati e amici. Lo spettro dell'immigrato che violenta la donna italiana è soprattutto un pregiudizio, una bugia. Una notizia mai data dalla stampa è che i parenti della povera Reggiani uccisa da un rom rumeno a Roma (e denunciato da una donna rom ) su cui la destra ha costruito la propria vittoria a Roma, in memoria della loro congiunta hanno finanziato un progetto di cooperazione in Romania. Questo è il simbolo dell'Italia migliore , dell'italia che non ha paura.
Un ultimo dato: a Bolzano secondo il questore i reati sono diminuiti e a Don Bosco dove la destra ha cercato di soffiare sul senso di insicurezza,organizzando un'assemblea, quest'anno ci sono state solo 2 risse tra ubriachi.
La realtà è che gli italiani hanno paura della crisi economica, dei cambiamenti epocali in atto e la destra cerca di approfittare di queste paure rivolgendole contro gli stranieri per scatenare una guerra tra poveri

mercoledì 3 giugno 2009

la Toscana vara la proposta di legge

SOCIALE
Approvata oggi pomeriggio dalla giunta regionale
Immigrazione, la Toscana vara la proposta di legge
Punti chiave: politiche antidiscriminatorie, cittadinanza sociale, emersione dalla clandestinità

Claudio Martini e Gianni Salvadori

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La proposta di legge che è stata approvata oggi pomeriggio dalla giunta regionale punta alla costruzione di un modello civile di convivenza, ad eliminare qualsiasi forma di discriminazione, ad estendere i diritti di cittadinanza sociale ed in definitiva ad ottenere il primato della persona aiutandola ad emergere dalla condizione di clandestinità. I vari articoli tengono conto anche delle prospettive di evoluzione della normativa nazionale oltre che della giurisprudenza costituzionale che si è sviluppata dopo la riforma del Titolo V. Senza infine tralasciare molti dei principi contenuti nello Statuto della Toscana.«La nostra intenzione con questa proposta di legge – ha spiegato il presidente Claudio Martini – è di affrontare questo delicato tema in modo serio e concreto e non demagogico. La nostra idea è di rendere più semplice la condizione dei regolari e di combattere l'irregolarità. Chi vive e fa il proprio dovere civico in Toscana deve vedersi semplificata la vita. Pensiamo cosa potrebbe succedere se un giorno tutti gli stranieri che vivono in Italia decidessero di assentarsi per un paio di mesi? Interi settori produttivi sarebbero costretti a chiudere, il paese si fermerebbe. Queste persone sono per noi un'opportunità non una minaccia. La legge che presentiamo non ha la pretesa di creare ex novo un nuovo sistema di servizi per il cittadino straniero ma di potenziare e sviluppare quelli che già ci sono. Vogliamo creare le condizioni per informarli su ciò che è un loro diritto avere, per renderli concretamente parte integrante e attiva della società in cui vivono».«Questo testo di legge – ha ricordato l'assessore alle politiche sociali Gianni Salvadori - è stato il frutto di un percorso concertato e partecipato, al quale ha contribuito tutta la società toscana. Il fenomeno ormai è inarrestabile, occorrono regole certe ed omogenee per governarlo. Non vogliamo che gli immigrati vengano trascinati dentro un sistema, che gli siano imposte delle regole 'dall'alto'. Devono essere loro i protagonisti attivi della comunità in cui hanno scelto di vivere. Una delle condizioni principali per far si che ciò si realizzi è informarli delle opportunità a loro disposizione».Il testo si compone di 9 capi e 37 articoli. Attenzione particolare viene riservata a tutte quelle azioni positive che mirano a facilitare le relazioni tra cittadino straniero e servizi del territorio come quelli sanitari, dell’istruzione, del lavoro, della casa mediante interventi tesi a superare le barriere linguistiche e culturali che impediscono la fruizione piena dei diritti ed una partecipazione consapevole.Riconoscimento dei titoli professionali. Le competenze acquisite nel Paese di origine potranno essere valorizzate. Questo potrà avvenire anche in base a specifici accordi.Interventi sociali urgenti e indifferibili. Un tetto dove passare la notte, qualcosa da mangiare, un riparo dal freddo. Potranno beneficiarne anche i cittadini stranieri privi di permesso di soggiorno, soprattutto nelle situazioni di particolare gravità. Si tratta di un'estensione innovativa.Accesso degli extracomunitari irregolari al servizio sanitario. Dando piena attuazione al testo unico sull’immigrazione, la pdl favorisce attraverso azioni informative e misure organizzative pieno accesso degli extracomunitari irregolari alle prestazioni del servizio sanitario. L’unificazione delle tessere STP (Straniero Temporaneamente Presente) rientra tra le misure che potrebbero essere realizzate in futuro. La tessera STP, già prevista a livello nazionale da oltre 10 anni, permette allo straniero senza permesso di soggiorno valido (perché scaduto, non rinnovato o mai ottenuto), di essere curato in ospedale o in ambulatorio. La tessera va richiesta alla ASL. L'assistenza è garantita ai bambini o in caso di infortunio, malattie gravi, patologie infettive e in gravidanza. Alcuni servizi sono completamente gratuiti, altre volte viene richiesto il pagamento del ticket. Il clandestino che va da un medico o in ospedale riceverà le cure necessarie e non sarà denunciato per il fatto di non avere il permesso di soggiorno. In tal senso, scopo della pdl, è rendere gli stranieri informati sul funzionamento della tessera e dei servizi a cui può accedere.Insegnamento della lingua italiana. Aspetto che assume un rilievo essenziale proprio per permettere al cittadino straniero di vivere come soggetto attivo e responsabile all’interno della comunità.Rispetto delle differenze religiose. Previsti interventi tesi a favorirlo nei diversi ambiti di vita: luoghi di lavoro, ospedali, istituti penitenziari ecc. Attenzione particolare ai soggetti “deboli”. Richiedenti asilo e rifugiati, minori e donne in stato di gravidanza, vittime di tratta e sfruttamento, detenuti.Sostegno e rafforzamento della rete regionale di sportelli informativi. Il loro compito è aiutare il cittadino straniero nel suo percorso di stabilizzazione e semplificarne i rapporti con la P.A., soprattutto per quanto riguarda le procedure relative ai rilasci e ai rinnovi dei permessi di soggiorno. Avranno inoltre il compito di favorire il rapporto tra cittadino straniero e la generalità dei servizi offerti dalla PA sul territorio.Prevenzione delle mutilazioni genitali femminili. La pdl rappresenta anche l’occasione per dare attuazione a normative nazionali. Sono previste attività di formazione, informazione e mediazione, così come previsto dalla Legge nazionale n. 7 del 2006.Promozione della convivenza interculturale. La pdl non ignora i delicati problemi di convivenza che i flussi migratori possono portare con la trasformazione repentina e talvolta traumatica delle comunità urbane e rurali.Accesso al servizio civile regionale. É prevista la promozione di campagne informative per favorirne l’accesso da parte di giovani stranieri di “seconda generazione” per farli sentire protagonisti della vita sociale e politica della comunità in cui sono nati e cresciuti.Impresa, Università e ricerca. Attraverso previsioni specifiche viene prestata adeguata attenzione alla presenza e alla valorizzazione di cittadini stranieri altamente qualificati. Facilitazione dell'accesso all'imprenditoria come forte strumento di integrazione.

Regione PugliaLegge politiche integrazione immigrati

Fonte: Regione PugliaLegge politiche integrazione immigrati: al via la fase d'ascoltoLa Giunta Regionale ha dato avvio a fine febbraio, con la prima preso d’atto del disegno di legge presentato dall’Assessore Elena Gentile, al percorso per la formazione della nuova legge regionale per l’integrazione culturale e l’inclusione sociale degli immigrati in Puglia. Sono interessate tutte le organizzazioni di volontariato e i soggetti del terzo settore pugliese, ma anche le comunità e i gruppi di immigrati che vivono in tutti i Comuni pugliesi. La Giunta Regionale ha dato avvio a fine febbraio, con la prima preso d’atto del disegno di legge presentato dall’Assessore Elena Gentile, al percorso per la formazione della nuova legge regionale per l’integrazione culturale e l’inclusione sociale degli immigrati in Puglia. Sono interessate tutte le organizzazioni di volontariato e i soggetti del terzo settore pugliese, ma anche le comunità e i gruppi di immigrati che vivono in tutti i Comuni pugliesi. Un percorso che la Giunta ha unanimemente inteso aprire alla partecipazione di quanti vogliano contribuire ad accrescere la capacità della nuova legge di guidare le politiche regionali in materia di immigrazione, proprio in una fase assai delicata e decisiva per i diritti degli immigrati in Puglia. Dopo un biennio nel quale la Regione ha sostenuto e promosso importanti sperimentazioni per le strutture e i servizi di accoglienza e di integrazione degli immigrati (gli alberghi diffusi o centri di accoglienza per i lavoratori stranieri immigrati stagionali, i certi interculturali per immigrati, i corsi di lingua italiana, l’introduzione delle figure dei mediatori culturali nei servizi socio-sanitari, ecc..), siamo alla vigilia dei nuovi investimenti di risorse nazionali e comunitarie per le politiche regionali in favore degli immigrati. E che ci sia una nuova legge regionale a disegnare il contesto di principi, di approcci culturali e di diritti da rendere esigibili per tutti i cittadini stranieri immigrati è, ormai, considerata una priorità assoluta. Sono già diverse le Regioni che negli ultimi anni hanno innovato la rispettiva normativa regionale: Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Lombardia e altre ancora. La Puglia ha una legge, che risale al 2000, e che, tuttavia, i più considerano ormai superata perché non è raccordata con le più recenti normative nazionali e regionali e non offre il necessario supporto alle nuove politiche abitative, formative, sociali e sanitarie in favore degli immigrati. L’iter del disegno di legge che l’Assessorato alla Solidarietà ha predisposto, con il supporto del gruppo di lavoro che si era costituito all’indomani degli Stati Generali sull’immigrazione, svoltisi a Bari nel febbraio 2006, sulle politiche per l’accoglienza e l’inclusione dei cittadini e delle cittadine straniere immigrate, prosegue, dunque, con una fase di ascolto e partecipazione allargata che, dopo la rielaborazione dei contributi che perverranno nelle prossime settimane, porterà alla versione finale del disegno di legge, che sarà sottoposto alla valutazione e alle decisioni della Giunta, auspicabilmente entro la fine di aprile. Tutte le modifiche e le integrazioni saranno illustrate a tutto il partenariato sociale e istituzionale per una piena condivisione dell’impianto complessivo del disegno di legge. Quindi prenderà avvio l’iter di discussione del ddl in Consiglio Regionale, dove ci si augura che possa vedere la luce la nuova legge entro il mese di giugno. Per contribuire alla stesura del disegno di legge, può essere compilata la scheda allegata, si può far riferimento entro l’11 aprile prossimo, via fax allo 080-5404262 oppure via e-mail a pugliasociale@regione.puglia.it . L’iter del disegno di legge non ferma le attività dell’Assessorato alla Solidarietà, che sta avviano in questi giorni l’Osservatorio Regionale per i Movimenti Migratori, che sta rifinanziando le attività di gestione dei tre alberghi diffusi già finanziati e i quattro centri interculturali, mentre sono in procinto di essere avviati i corsi di lingua italiana e il fondo di garanzia per il sostegno all’alloggio dei nuclei familiari di immigrati, insieme al bando per la realizzazione di nuovi alberghi diffusi (risorse FESR) e per la formazione e l’inserimento lavorativo degli immigrati (risorse FSE).Data: Mar, 25 Marzo 2008 @ 10:01Categoria: Comunicati S. Stampa Giunta

Immigrati: serve una nuova legge per l’integrazione e l’inclusione

Immigrati: serve una nuova legge per l’integrazione e l’inclusione
pubblicato da: admin in diritti umani, economia, immigrazione, società — admin 18 Aprile, 2008 @ 9:49 am
“ Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.”
Nel presentare il nuovo disegno di legge depositato oggi in Consiglio provinciale ho voluto non a caso citare la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, di cui quest’anno ricorrono i sessant’anni dall’approvazione. E credo di aver dimostrato un certo “coraggio” nel presentare una nuova iniziativa proprio su un tema che nelle ultime settimane è stato particolarmente dibattuto dalle parti politiche, con toni non sempre diplomatici.
In un momento storico nel quale il fenomeno migratorio è spesso percepito come fonte principale di pericolo ed insicurezza sociale ritengo doveroso riaffermare alcuni principi fondamentali che governano la nostra società, in primis i diritti universali che vanno riconosciuti ad ogni persona. Ogni fenomeno - e quello migratorio tra questi - necessita di conoscenza, di capacità di gestione, di saggezza e di lungimiranza. Tutti gli studiosi confermano la necessità dell’immigrazione per il nostro Paese, anche semplicemente per motivi demografici ed economici.
In realtà molto è stato fatto dalla Provincia autonoma di Trento, da altre istituzioni e da associazioni ed organizzazioni basate sul volontariato, ma evidentemente molto rimane ancora da fare, tra l’altro sul versante delle attività per la completa interazione tra la popolazione autoctona ed i cittadini immigrati. Altrimenti non si spiegherebbero così diffuse manifestazioni di aperta insofferenza verso la presenza di cittadini di origine straniera, in molti casi del tutto ingiustificate.
Il fenomeno migratorio segnala numeri importanti anche per quanto riguarda la provincia di Trento: al 1° gennaio 2007 gli stranieri residenti erano infatti 33.302, pari al 6,6% della popolazione residente. Significativo anche il dato riferito ai figli di immigrati in età scolare: 2134 unità fra i 6 e i 10 anni (8,2% della popolazione residente nella stessa fascia d’età), 2667 unità fra gli 11 e i 17 anni (7,6% della popolazione residente nella stessa fascia d’età).
Le aree cui prestare attenzione nell’ottica di una politica di inclusione dei cittadini e dei nuclei familiari immigrati sono a mio avviso essenzialmente tre: accoglienza e orientamento; promozione di diritti; cittadinanza e interculturalità.
A distanza di quasi un ventennio dall’approvazione della legge provinciale vigente esiste la consapevolezza della dimensione assolutamente strutturale e non più emergenziale del fenomeno, divenuto un aspetto “normale” della vita di tutti i giorni. E’ in tale contesto che deve nascere l’esigenza di una politica per l’immigrazione che vada oltre la gestione dell’accoglienza e che, riconoscendo i diritti fondamentali a tutte le persone migranti, tenda alla valorizzazione degli immigrati regolarmente soggiornanti promuovendo la loro integrazione attraverso un progressivo processo che favorisca il pieno godimento dei diritti di cittadinanza. Si impone, pertanto, la necessità di un aggiornamento della legge provinciale, tanto più auspicabile nel momento in cui verrà nuovamente modificata la legislazione statale, la quale non potrà considerarsi pienamente applicata fintanto che non venga recepita nella legislazione locale.
Il nuovo disegno di legge – “Disposizioni per favorire l’integrazione e l’inclusione sociale dei cittadini immigrati” - stabilisce all’art. 1 i principi ispiratori, vale a dire, la volontà della Provincia di promuovere politiche attive di inclusione degli immigrati, anche di provenienza extracomunitaria che risiedono stabilmente (o per lunghi periodi) nella nostra provincia, per ragioni di lavoro, studio o ricongiungimento familiare, riconoscendone pienamente i diritti fondamentali di cittadinanza e considerando la loro presenza un importante fattore di crescita civile ed economica per la nostra comunità.
L’articolo 2 individua nel Piano provinciale degli interventi ed in un apposito fondo economico i due strumenti operativi a disposizione della Giunta provinciale per l’adozione di specifiche azioni di inclusione. L’articolo individua, in modo dettagliato, i settori di intervento e gli obiettivi di tale politica a favore degli immigrati.
L’art. 3 prevede l’istituzione di una apposita Agenzia alla quale faranno capo tutte le politiche a favore dell’immigrazione. Si tratta di uno strumento operativo, già sperimentato in altri settori, utile per superare la frammentazione degli interventi ed avere un costante monitoraggio delle problematiche che i fenomeni migratori inevitabilmente comportano. In questo modo si potrà, da un lato, non disperdere la positiva esperienza e il consistente bagaglio di conoscenza acquisito attraverso la struttura CINFORMI, dall’altro mettere a disposizione di una struttura “di servizio” anche gli strumenti per politiche attive a favore dell’immigrazione, oggi frammentate su più settori. La norma rinvia ad apposito regolamento la disciplina specifica delle modalità di funzionamento dell’Agenzia.
L’art. 4 intende infine affrontare il problema del recupero e del reinserimento di immigrati in presenza di fenomeni di devianza sociale e di microcriminalità.
Il disegno di legge, redatto avvalendomi di uno studio preparatorio e di una consulenza specialistica, ha recepito e riproposto per il Trentino alcune significative modalità di gestione del fenomeno migratorio introdotte in alcune altre realtà nazionali e regionali. Al più presto avvierà dunque il proprio iter legislativo nell’ambito del Consiglio provinciale e pur essendo giunto quasi al termine della legislatura si tratta comunque dell’unico atto politico che intende affrontare, con coraggio e novità, un tema di rilevante portata come quello dell’immigrazione.

Lazio, legge per l’integrazione degli immigrati

Lazio, legge per l’integrazione degli immigrati
A sostegno della formazione professionale e universitaria e dell’inserimento nel mondo del lavoro, anche in forma imprenditoriale. Promuovere azioni volte ad integrare gli immigrati nel Lazio.
E’ questo l’obiettivo della legge approvata dalla regione Lazio, che ha per oggetto ‘le disposizioni per la tutela dell’esercizio dei diritti civili e sociali da parte dei cittadini stranieri immigrati nel territorio laziale’. Nello specifico la legge mira a favorire la partecipazione alla vita civile e l’accesso ai pubblici servizi per gli immigrati che risiedono o hanno domicilio stabile nel Lazio. Importanti le disposizioni a tutela del diritto allo studio, all’assistenza sociale, sanitaria, abitativa e a sostegno della formazione professionale e universitaria e dell’inserimento nel mondo del lavoro, anche in forma imprenditoriale.
La legge prevede, inoltre, l’istituzione di un coordinamento permanente tra gli assessorati competenti e tre organismi: la Consulta regionale per l’immigrazione, le assemblee provinciali di cittadini stranieri immigrati e l’Osservatorio regionale contro il razzismo e la discriminazione. Alla regione spetta promuovere azioni di monitoraggio e assistenza per le vittime di discriminazioni e di ‘situazioni di violenza o di grave sfruttamento’. Per l’attuazione delle disposizioni previste dalla nuove normativa verranno stanziati per il triennio 2008-2010 circa 2,5 milioni di euro. Parte dei fondi messi a disposizioni verranno impiegati per il miglioramento delle condizioni ambientali dei centri di permanenza temporanea e al finanziamento dei centri di accoglienza.
“La regione Lazio - spiega Luisa Laurelli, presidente della commissione Sicurezza della regione - si pone all’avanguardia e in controtendenza con le politiche del governo nazionale. Non è additando all’opinione pubblica i rom e gli immigrati come delinquenti da carcerare, la risposta che si deve dare alla domanda di sicurezza proveniente da tanti cittadini. Accogliere i migranti, i diversi da noi è l’unica politica efficace per garantire il rispetto della legalità e il diritto alla sicurezza di tutti i cittadini italiani e stranieri immigrati”.
Fonte: Labitalia

Progetto “Rete civica: Brescia aperta e solidale”

Progetto “Rete civica: Brescia aperta e solidale”

Con il primo incontro a livello cittadino dei referenti dei quartieri tenutosi il 10 febbraio nella sala ACLI, il progetto “Rete Civica: Brescia aperta e solidale” ha iniziato la fase che porterà in breve al suo riconoscimento ufficiale da parte della Giunta comunale e quindi alla costituzione della “Consulta cittadina per l’integrazione e la cittadinanza”. L’iniziativa della città (affidata alla gestione delle ACLI e dell’associazione “Centro migranti della diocesi” con la supervisione di Carlo Melegari, direttore del Cestim di Verona) è partita oramai quasi due anni fa (primavera del 2006) come percorso di partecipazione a livello di prossimità di quartiere per nuovi e vecchi cittadini. “La Rete civica si costituisce partendo dalla promozione, quartiere per quartiere, di iniziative mirate a dare avvio e consistenza a comitati, associazioni, gruppi misti per genere, per età, per cultura e per religione, composti – possibilmente in maniera paritetica - da cittadini italiani e da immigrati stranieri o di origine straniera, tutti residenti nel quartiere. Lo scopo dichiarato, sulla base di un modello di statuto cui fare riferimento, è quello del riconoscimento reciproco, al di là della nazionalità di appartenenza, come concittadini, con pari diritti, pari doveri e pari interessi al benessere del quartiere in cui si abita. Che è anche il benessere della relativa circoscrizione e della città. Per poi agire di conseguenza con la programmazione e la realizzazione di eventi atti a favorire - sempre a partire dal proprio quartiere - la coesione sociale attraverso l’incontro gratificante (feste rionali), il dibattito civile (assemblee aperte su temi di particolare rilevanza sociale), la proposta costruttiva (a fronte di problemi da risolvere), l’impegno comune nel volontariato (per la cura dell’ambiente, per l’attenzione alle fasce più deboli della popolazione locale)” (dalla Scheda informativa).
Si tratta in sostanza di far passare il principio che il quartiere è di chi ci vive e se ne occupa, aiutando a sviluppare rapporti di interazione positiva e di solidarietà. Non si tratta di un progetto specifico per i migranti, ma di un’iniziativa per la convivenza e la rivitalizzazione dei quartieri che presenta come prima ricaduta positiva proprio quella di includerli a pieno titolo e in tutti gli aspetti della vita del quartiere. E’ infatti noto che spesso l’ente pubblico (in Italia e non solo) accetta i nuovi cittadini come interlocutori soltanto sulle tematiche che li riguardano da vicino in quanto migranti (e cioè sui problemi specifici originati dal fatto di non possedere la cittadinanza italiana), ma di norma non interloquisce con essi quando si tratti di problemi di ordine generale (come ad esempio le scuole, o i trasporti, o la raccolta dei rifiuti) come se essi presentassero soltanto gli specifici problemi ed esigenze del migrante, e non anche quelli di qualsiasi abitante (indipendentemente dalla loro nazionalità) di un determinato territorio. Seguendo questa logica riduttiva si è infatti imbrigliato il lavoro (e le competenze) di molti organismi di rappresentanza politica degli stranieri, come Consulte e consiglieri aggiunti, che negli ultimi dieci anni hanno conosciuto un notevole sviluppo in tutto il Paese.
Indirettamente, il progetto rete civica può anche essere considerato come una risposta al tanto citato problema della sicurezza (o meglio della crescente percezione di insicurezza) nelle nostre città: un risposta che non passa attraverso telecamere o velleitari controlli di polizia a tappeto, ma che va alla radice del problema: la composizione delle nostre città sta repentinamente cambiando, è già cambiata, è in continua trasformazione, e alcune fasce della popolazione (spesso quelle maggiormente sfavorite in termini socio-economici) leggono questo cambiamento sotto forma di minaccia alla propria identità e financo alla propria esistenza. La prossimità non indifferente, il confronto sui problemi comuni della vita di relazione quotidiana, la reciproca conoscenza, abbattono il muro di diffidenza (generato dalla mancata conoscenza) che ci separa dall’altro e generano nuova socialità, accettazione reciproca, sicurezza e coesione sociale.

Lo stato attuale del progetto e le fasi precedenti
Attualmente, dopo quasi due anni di incontri e assemblee nei 30 quartieri della città, il progetto Rete civica dispone di gruppi stabili in tutte le nove circoscrizioni (destinate fra breve a diventare cinque) e in 15 quartieri[1]. Ognuno di questi gruppi ha anche cooptato, come previsto dal progetto, quattro rappresentanti (due donne e due uomini, due stranieri e due italiani). Entro il mese di febbraio (e cioè in tempo utile prima delle elezioni comunali di primavera) si cercherà di portare l’assemblea dei gruppi quartiere (o meglio, dei loro rappresentanti) all’approvazione formale da parte della Giunta (ed eventualmente, del Consiglio) e quindi alla costituzione ufficiale della “Consulta cittadina per l’integrazione e la cittadinanza”, che andrà in tal modo ad affiancare le altre consulte già esistenti nel Comune di Brescia. Il raggiungimento di questo risultato, niente affatto scontato all’inizio del progetto, ha comportato una lenta marcia di avvicinamento, composta di quattro fasi:

presentazione dell’idea del progetto in incontri individuali con tutte le associazioni del territorio (sia di italiani che di o per stranieri) potenzialmente interessate al settore di intervento, per guadagnarne da una parte il consenso all’iniziativa e dall’altra per coinvolgerle come soggetti “reclutatori” di partecipanti alle assemblee di quartiere. Alle associazioni è stato infatti richiesto di attivare la propria rete di relazioni nei quartieri per assicurare un buon numero di partecipanti nella delicata fase di avvio delle assemblee di quartiere;
prime assemblee esplorative di quartiere: in questa fase si è cercato di sondare la disponibilità del quartiere ad intraprendere la realizzazione di una rete di relazioni e di iniziative di prossimità per rafforzarne la coesione sociale. Nelle assemblee si è avuto cura di mantenere un profilo basso, cercando di stimolare la discussione su tematiche di interesse comune e accompagnando la possibile emersione di uno o più soggetti “leader”, capaci nei futuri incontri di promuovere la partecipazione e le attività del gruppo;
organizzazione di una presentazione pubblica, a livello cittadino e con la partecipazione del Sindaco, del progetto, allo scopo di dargli risonanza mediatica e innescare in tal modo un effetto “palla di neve” nei confronti dei quartieri ancora da coinvolgere, dando allo stesso tempo ai quartieri già partecipanti la consapevolezza di far parte di un’iniziativa di rilevanza comunale, pienamente appoggiata dal governo della città;
formalizzazione e approfondimenti delle assemblee di quartiere. Nel prosieguo delle riunioni a livello di quartiere, si è passati all’individuazione e alla nomina, da parte degli stessi partecipanti, del gruppo di quattro referenti-portavoce sopra menzionati per dare stabilità e continuità al lavoro delle assemblee stesse. Nella stessa ottica, da un punto di vista contenutistico, si è passati alla definizione di alcune prime iniziative concrete nel quartiere, per dare sostanza all’iniziativa e guadagnarle al tempo stesso ulteriore sostegno.

Nelle assemblee di quartiere hanno preso corpo diverse iniziative concrete, che riassumiamo a titolo esemplificativo: un corso di alfabetizzazione per le donne straniere, sensibilizzazione sulla tematica della donazione del sangue, organizzazione di una festa di quartiere, cena di reciproca conoscenza all’aperto in un parco (i partecipanti hanno contribuito con proprie pietanze), visita del centro culturale islamico, serata multi- e interculturale, serate informative sulle tradizioni dei Paesi di origine degli abitanti del quartiere, giornata ecologica sul tema della raccolta differenziata dei rifiuti, partecipazione alle giornate del FAI (Fondo Ambiente Italiano), etc.
Come si vede, le iniziative sono le più varie: ad esempio, in alcune vengono direttamente tematizzati l’incontro e la relazione fra l’italiano e lo straniero (incontri e feste multiculturali) per favorire un clima di reciproca conoscenza, l’ abbattimento delle barriere di diffidenza e il miglioramento del clima all’interno del quartiere, in funzione fra l’altro di prevenzione di atti di intolleranza; in altre si affrontano tematiche di interesse comune (come la raccolta differenziata) in genere di non facile assimilazione da parte di tutte le categorie di popolazione (straniera o italiana che sia), con l’intento di spegnere sul nascere l’insorgere di possibili malumori e pregiudizi connotati etnicamente e allo stesso tempo promuovere e stimolare il senso di responsabilità anche dei cittadini stranieri attraverso la loro accettazione immediata e completa come cittadini a tutti gli effetti del quartiere. In altri ancora, a prima vista privi di grande rilevanza (donazione del sangue, giornate FAI), si è voluto rimarcare con forza quanto appena detto sull’accettazione a 360° degli stranieri nella vista pubblica locale, e allo stesso tempo esercitare una funzione educativa nei confronti della cittadinanza autoctona, portata da un’informazione distorta ad avere una concezione limitata e negativa del ruolo degli stranieri nella società civile.
Ovviamente gli esempi potrebbero moltiplicarsi, e in ogni realtà sarà necessario individuare quelli che maggiormente si attagliano al contesto locale e allo stesso tempo presentano le maggiori possibilità di successo. A Bolzano, ad esempio, proprio la recente introduzione della raccolta differenziata della frazione umida potrebbe fornire uno spunto interessante per avviare un’iniziativa di sensibilizzazione, e sviluppare il senso di appartenenza intorno ad un tema che coinvolge tutti. Altre tematiche da esplorare potrebbero essere quelle relative alla qualità della vita nel quartiere per bambini e giovani e allo sport (connesso con l’associazionismo sportivo e la fruizione delle strutture pubbliche). Le tematiche oggetto delle iniziative sono certo importanti e vanno selezionate con cura, ma è necessario non perdere di vista la rilevanza forse ancora maggiore che assume “il processo”, e cioè l’elemento delle partecipazione e della condivisione da parte di tutti gli abitanti del quartiere, che costituisce in definitiva l’elemento qualificante di tutto il progetto.

Applicabilità del progetto Rete civica sul territorio di Bolzano
Una caratteristica generale di progetti e iniziative scaturiti da un territorio ben preciso e sviluppati in funzione delle sue peculiarità è la difficile replicabilità sic et simpliciter in contesti diversi da quello originario. D’altra parte è necessario riflettere sul fatto che ogni progetto trova giustificazione nella propria capacità di affrontare e risolvere un problema, una situazione critica. Il progetto Rete civica di Brescia è infatti nato per dare una risposta positiva ad un problema di interazione, di relazione di solidarietà, di condivisione del territorio da parte di stranieri e autoctoni che risulta fortemente deficitaria in città, fino a far paventare reazioni di intolleranza da parte della cittadinanza autoctona e di distacco dalla vita pubblica e dagli spazi sociali da parte di quella immigrata. Una problematica non dissimile si ritrova anche a Bolzano, almeno stando alle conclusioni del rapporto di ricerca “La presenza-assenza degli immigrati” (Studio RES, 2007) commissionato dal Comune. Dal rapporto emerge infatti chiaramente (pur con differenze fra diversi quartieri) una situazione di “distanza sociale, di percorsi paralleli, di separazione fra cittadini che condividono tempi e luoghi senza conviverci”, una presenza immigrata che, ad esempio “nel quartiere S.G., Bosco, è vissuta principalmente dagli abitanti in termini invadenti, competitivi, destabilizzanti”. La distanza nella società civile rimane ancora ampia, e gli stranieri sono “ancora troppo assenti nei luoghi di aggregazione”. Oltre alla natura (se non all’ampiezza) del problema, sembrerebbero esserci somiglianze anche nelle soluzioni proposte dal rapporto, che sottolinea l’”importanza di elaborare proposte culturali tali da coinvolgere sia gli immigrati sia i locali”, e sottolinea la necessità di attuare “un coordinamento fra le varie associazioni e le varie comunità, (…) sia per le famiglie italiane sia straniere”.
Pur con queste innegabili similitudini, è ovvio che una trasposizione automatica del progetto Rete civica nel contesto bolzanino andrebbe accuratamente evitato, a favore di un adattamento alla nostra situazione locale dell’idea base dell’iniziativa lombarda, che è poi quella di promozione della partecipazione partendo da un contesto di vicinato e prossimità. Una differenza di partenza fondamentale fra i due contesti è l’approdo del progetto di Brescia alla costituzione di una Consulta cittadina per l’integrazione, che i responsabili comunali vedono in alternativa alla creazione di una Consulta elettiva degli stranieri, che infatti a Brescia non è mai stata promossa.
E’ quindi evidente che a Bolzano la finalità non sarebbe quella di costituire una Consulta, che inevitabilmente andrebbe a sovrapporsi a quella già esistente. Proprio la presenza della Consulta elettiva, però, può fornire una leva per garantire un’adeguata partecipazione all’iniziativa, almeno da parte straniera, consentendole allo stesso tempo una maggiore visibilità a livello di quartiere. Il fatto che l’azione della Consulta abbia avuto fino ad ora un limitato impatto sulla vita dei quartieri (e il conclamato bisogno di partecipazione) costituisce probabilmente l’argomento giusto per assicurarsi l’appoggio dell’organismo elettivo degli stranieri. Oltre alla Consulta (che può essere il motore, ma non il depositario esclusivo dell’iniziativa) è necessario cercare ed ottenere il consenso di tutte quelle associazioni (di immigrati, di autoctoni, miste) che, a livello cittadino, hanno a cuore il processo di inclusione degli stranieri. Né va certo dimenticato il sindacato, che anche secondo il rapporto citato si conferma come una delle realtà maggiormente in grado di stimolare la partecipazione degli immigrati. Come già detto, comunque, non si tratta di un progetto “per gli stranieri”, ma piuttosto “con” gli stranieri, e cioè in sostanza di un’iniziativa vòlta a promuovere in generale cultura della prossimità e coesione sociale a livello micro. Sarà quindi di fondamentale importanza coinvolgere fin dall’inizio sia il livello istituzionale (e cioè i consigli di circoscrizione) che il mondo associativo attivo a vario titolo nei quartieri della città. Un lavoro di mediazione e raccordo, quello appena delineato, certamente non facile né rapido, e neppure definitivo, dato che la costruzione della partecipazione è un compito che va perennemente sostenuto ed accompagnato. Ma è un lavoro preparatorio certamente non inutile, in quanto può essere visto come una fase esplorativa per saggiare la rispondenza e il grado di accettazione dell’intera iniziativa, e dunque utilizzato per correggerne in corso d’opera l’impostazione teorica.
Come si vede da queste brevi note (che hanno solo il fine di stimolare il dibattito, e non certo l’ambizione di costituire un “documento di progetto”), si tratta di un progetto certamente ambizioso e che necessita di un’accurata preparazione ed elaborazione, ma altrettanto necessario se si vogliono prevenire sul nascere possibili deragliamenti nel processo di inclusione socio-culturale dei nuovi cittadini e mantenere la strada spianata per una coesione sociale niente affatto scontata in una realtà come quella di Bolzano.


Paolo Attanasio
Marzo 2008












[1] Il territorio comunale di Brescia è attualmente suddiviso in 9 circoscrizioni, che fra breve saranno ridotte a 5; ogni circoscrizione comprende poi un certo numero di quartieri (in totale 30), che rispondono ad una suddivisione più antica della città, ma che conservano intatti i propri confini sul territorio. La nuova suddivisione amministrativa non andrà quindi a modificare la struttura o il numero dei quartieri, ma semplicemente la loro collocazione all’interno delle nuove circoscrizioni.