sabato 29 agosto 2009

Prima bozza di documento politico per una legge provinciale sull’integrazione 05/08/2009





1. Natura e scopo del documento
Con questo documento la Rete per i diritti dei senza voce vuole offrire, attraverso un percorso partecipativo, uno spazio di confronto per il riconoscimento reciproco e l’ integrazione delle diverse componenti di popolazione presenti sul territorio. La coesione sociale, intesa come superamento delle disparità legate alle situazioni sociali, economiche, culturali ed etniche, costituisce il presupposto per uno sviluppo equilibrato ed armonico del territorio ed in quanto tale è capace di influenzare positivamente l’attrattività economica, la crescita competitiva nonché il suo sviluppo economico generale.

2. Contesto locale
Il territorio della provincia autonoma di Bolzano è caratterizzato da diversi decenni dalla compresenza di più gruppi linguistico-culturali. A questi, a partire dagli anni ‘80, si è aggiunta la presenza di nuove minoranze provenienti da diversi paesi di tutto il mondo. Anche nel nostro territorio, secondo un processo che attualmente caratterizza tutta l’ Italia e l’ Europa, queste presenze si sono ormai stabilizzate e non possono più essere considerate meramente di passaggio o temporanee. Siamo in presenza di seconde generazioni nate in Italia e che sono private dei diritti di cittadinanza a causa di una legislazione nazionale restrittiva. Il nostro tessuto economico e produttivo non può ormai prescindere dall’ apporto lavorativo di queste nuove presenze. Seguendo il processo di stabilizzazione, i migranti iniziano ad occupare posizioni in settori dell’economia dai quali precedentemente erano esclusi, e ad essere presenti nelle rappresentanze sindacali, a rivestire ruoli direttivi nel mondo dell’ associazionismo, della ricerca sociale e delle professioni. Oggi i migranti fanno parte a tutti gli effetti della nostra autonomia.

3. Perché una legge provinciale sull’integrazione
La provincia autonoma di Bolzano è l’unico ente territoriale italiano tuttora privo di una legislazione organica sull’ integrazione dei migranti, quando nel resto d’ Italia esistono regioni che sono già giunte alla terza generazione di normativa. Questa lacuna non ha impedito il raggiungimento di livelli di integrazione comparabili a quelli delle altre regioni italiane, come risulta anche dai vari rapporti del CNEL sugli indici di integrazione. Ciononostante, la mancanza di una legge sull’ integrazione impedisce la governance del fenomeno attraverso la programmazione e l’ attuazione di misure a breve e medio periodo. La mancanza di una quadro di riferimento complessivo ha portato alla proliferazione di interventi normativi settoriali scoordinati e in alcuni casi lesivi dei diritti di parità di trattamento previsti dalla normativa nazionale ed europea. Al fine di salvaguardare e migliorare i livelli di integrazione e di coesione sinora conseguiti, la Rete dei diritti dei senza voce auspica dunque l’ approvazione di una legge provinciale specifica sull’ integrazione.

4. Principi Fondamentali Comuni
La Rete propone che la nuova normativa provinciale sull’integrazione tragga ispirazione dai Principi Fondamentali Comuni di integrazione formulati nel 2005 dalla Commissione europea, “Un’agenda comune per l’integrazione. Quadro per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi nell’Unione europea” (v. appendice).
Si tratta di Principi che sottolineano a tutti i livelli l’importanza del rispetto dei diritti fondamentali, la non discriminazione e pari opportunità per tutti come elementi cardine dell’integrazione e che mirano ad integrare la prospettiva di genere, all’attenzione specifica per la situazione dei giovani migranti e dei bambini.

5. Le misure concrete
Allo scopo di attuare i principi di integrazione stilati dalla Commissione, la Rete ritiene necessario prevedere, nella legge, la programmazione delle politiche di governo dell’ integrazione. A tal fine, si rendono necessarie alcune strutture di elaborazione delle politiche, come pure di gestione e monitoraggio degli interventi. Tali strutture, dotate della più ampia autonomia gestionale e finanziaria, hanno il compito di elaborare una programmazione pluriennale di massima delle politiche di integrazione, nonché di una serie di misure da attuarsi con cadenza annuale.
Per quanto riguarda l’organismo incaricato di elaborare e proporre un programma pluriennale di politiche per l’integrazione, questo, designato dalla Giunta provinciale e presieduto dall’ assessore competente per l’ immigrazione, deve assicurare un’equa rappresentanza di tutti i settori della società, con particolare rilievo delle associazioni dei migranti e di quante si occupano di immigrazione. Si ritiene necessario che sia le politiche, che le misure attuative, siano sottoposte ad un costante monitoraggio e valutazione affidati ad organismi autonomi ed indipendenti.
L’ elaborazione di efficaci politiche di integrazione presuppone anche un approfondita conoscenza del fenomeno. Tale conoscenza può essere acquisita attraverso organismi appositi, come un osservatorio sulle migrazioni, incaricati dello studio e del monitoraggio delle dinamiche migratorie a livello locale, in rapporto con quelle di livello nazionale ed europeo.
Per quanto riguarda il necessario monitoraggio e la valutazione delle politiche di integrazione a livello provinciale, queste funzioni andranno affidate ad organismi competenti ed indipendenti, anche esterni al territorio provinciale, in collaborazione con enti ed istituti di ricerca, come ad esempio Università e centri di ricerca specializzati sul fenomeno migratorio e le relative politiche

6. Partecipazione e rappresentanza politica dei migranti
Attualmente, la rappresentanza politica dei cittadini stranieri nella nostra provincia è affidata unicamente alle due Consulte elettive operanti a da alcuni anni Bolzano e Merano. Attualmente, in Italia, infatti, gli stranieri non appartenenti all’Unione europea non possono partecipare (né come elettori né come candidati) ad alcuna competizione elettorale. Parzialmente diverso è il caso dei cittadini comunitari, i quali (se iscritti nelle apposite liste) partecipano sia alle elezioni per il Parlamento europeo che a quelle amministrative. Ben diversa è la situazione in altri paesi europei (Paesi Bassi, Gran Bretagna, Spagna, Belgio, etc.) dove ormai da molti anni i cittadini stranieri possono partecipare, come elettori e come candidati, alle elezioni amministrative locali. Pur nell’impossibilità di contrastare a livello provinciale una normativa di rilevanza nazionale, la Rete per i diritti dei senza voce auspica che la Provincia autonoma si impegni almeno ad appoggiare la creazione di consulte elettive o consiglieri aggiunti in tutti i 116 Comuni che la compongono e ad istituire essa stessa un Consiglio provinciale elettivo dei cittadini stranieri, come ad esempio avviene nella provincia di Pisa, i cui membri siano abilitati a partecipare ai lavori delle commissioni consiliari.

7. Discriminazioni
La futura legge provinciale sull’integrazione dovrà innanzitutto soffermarsi su tutte le norme che nell’attuale legislazione locale discriminano i cittadini stranieri, con particolare attenzione ai seguenti tre elementi:
1. nel campo dell’accesso all’alloggio, andrà ristabilita la prevalenza del criterio del bisogno nell’assegnazione di tutte le agevolazioni provinciali all’edilizia abitativa agevolata, rivedendo quindi sia la legge provinciale n. 9 del 2008, che la conseguente delibera di Giunta n. 1885 del 20 luglio 2009;
2. per quanto riguarda il diritto allo studio, andrà eliminata la norma discriminatoria contenuta nelle legge provinciale n. 9 del 2004, che impedisce la fruizione da parte dei cittadini stranieri di borse di studio per Università fuori provincia;
3. anche nel campo dell’assistenza economica sociale, andrà rivisto il decreto del Presidente della Giunta provinciale n. 30 del 2000, nella parte in cui limita a due soli mesi l’anno il godimento dell’assistenza economica da parte dei cittadini stranieri.

In attuazione della normativa europea, la Rete auspica inoltre che venga nuovamente attivato il Centro di tutela osservazione, di informazione e di assistenza extragiudiziale e legale, per tutte le vittime delle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi, per la disabilità, età, convinzioni personali e orientamento sessuale.
Tale Centro, dovrà prevedere:
- l’osservazione delle discriminazioni attraverso un sistematico monitoraggio costituito da una rete di attori pubblici e del privato sociale dislocati sul territorio della provincia di Bolzano;
- l’informazione e sensibilizzazione finalizzate alla promozione di una cultura delle pari opportunità e della piena cittadinanza per tutti;
- l’assistenza alle vittime delle discriminazioni in termini di tutela diretta e indiretta.
E’ auspicabile, infine,che anche il Centro di tutela, come le precedenti strutture, sia dotato della più ampia autonomia gestionale e finanziaria e che, in collaborazione con le altre realtà territoriali, possa elaborare la programmazione pluriennale delle politiche anti-discriminatorie, nonché le misure e le azioni da attuare con cadenza annuale.


Appendice:


Principi Fondamentali Comuni dell’integrazione.

1. “L’integrazione è un processo dinamico e bilaterale di adeguamento reciproco da parte
di tutti gli immigrati e di tutti i residenti degli Stati membri
2. “L’integrazione implica il rispetto dei valori fondamentali dell’Unione europea”
3. “L’occupazione è una componente fondamentale del processo d’integrazione ed è
essenziale per la partecipazione degli immigrati, per il loro contributo alla società ospite e
per la visibilità di tale contributo”
4. “Ai fini dell’integrazione sono indispensabili conoscenze di base della lingua, della storia
e delle istituzioni della società ospite; mettere gli immigrati in condizione di acquisirle è
essenziale per un’effettiva integrazione”
5. “Gli sforzi nel settore dell’istruzione sono cruciali per preparare gli immigrati e
soprattutto i loro discendenti a una partecipazione più effettiva e più attiva alla società”
6. “L’accesso degli immigrati alle istituzioni nonché a beni e servizi pubblici e privati, su
un piede di parità con i cittadini nazionali e in modo non discriminatorio, costituisce la
base essenziale di una migliore integrazione”
7. “L’interazione frequente di immigrati e cittadini degli Stati membri è un meccanismo
fondamentale per l’integrazione. Forum comuni, il dialogo interculturale, l’educazione
sugli immigrati e la loro cultura, nonché condizioni di vita stimolanti in ambiente urbano
potenziano l’interazione tra immigrati e cittadini degli Stati membri”
8. “La pratica di culture e religioni diverse è garantita dalla Carta dei diritti fondamentali e
deve essere salvaguardata, a meno che non sia in conflitto con altri diritti europei
inviolabili o con le legislazioni nazionali”
9. “La partecipazione degli immigrati al processo democratico e alla formulazione delle
politiche e delle misure di integrazione, specialmente a livello locale, favorisce
l’integrazione dei medesimi”
10. “L’inclusione delle politiche e misure di integrazione in tutti i pertinenti portafogli
politici e a tutti i livelli di governo e di servizio pubblico è una considerazione importante
nella formulazione e nell’attuazione della politica pubblica”
11. “Occorre sviluppare obiettivi, indicatori e meccanismi di valutazione chiari per adattare
la politica, valutare i progressi verso l’integrazione e rendere più efficace lo scambio di
informazioni”


Tratto da:
COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO, AL PARLAMENTO EUORPEO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUORPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI, “Un’agenda comune per l’integrazione. Quadro per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi nell’Unione europea”, COM (2005) 389 definitivo, 1.9.2005


Erster Entwurf eines politischen Dokuments für ein Landesgesetz zur Integration 05/08/2009





1. Natur und Ziel des Dokuments
Mit diesem Dokument möchte sich das Netzwerk “Rete per i diritti dei senza voce” an der Diskussion beteiligen und damit zur gegenseitigen Anerkennung sowie zur Integration der verschiedenen in Südtirol lebenden Teile der Bevölkerung beitragen. Der soziale Zusammenhalt, d.h. die Überbrückung der sozialen, wirtschaftlichen, kulturellen und ethnischen Ungleichheiten, ist eine Voraussetzung für eine ausgewogene und harmonische Entwicklung des Landes und kann die wirtschaftliche Attraktivität, das wettbewerbsorientierte Wachstum sowie seine allgemeine wirtschaftliche Entwicklung positiv beeinflussen.

2. Das Umfeld
In Südtirol leben seit mehreren Jahrzehnten verschiedene Sprach- bzw. Kulturgruppen. Seit den 80iger Jahren sind neue aus verschiedenen Ländern aller Welt stammende Minderheiten hinzugekommen. Wie es in ganz Italien und ganz Europa der Fall ist, haben sich diese Menschen fest niedergelassen und sind nicht mehr nur vorübergehend im Lande anwesend. Mittlerweile gibt es schon zweite Generationen, die in Italien geboren sind und die aufgrund der einschränkenden staatlichen Bestimmungen nicht in den Genuss der aus der Bürgerschaft erwachsenden Rechte kommen. In unserem wirtschaftlichen Gefüge sind diese neuen Arbeitskräfte unentbehrlich geworden. Die in einem Stabilisierungsprozess begriffenen Migranten sind in Wirtschaftsbereichen tätig, von denen sie früher ausgeschlossen waren, sind gewerkschaftlich vertreten und haben zunehmend Führungsrollen im Vereinswesen und im Beruf. Die Migranten sind heute ein Bestandteil unserer Autonomie.

3. Wieso braucht es ein Landesgesetz zur Einwanderung
Die autonome Provinz Bozen ist die einzige italienische Gebietskörperschaft, die noch kein organisches Gesetz über die Integration der Migranten hat, während im restlichen Italien einige Regionen ihre Bestimmungen bereits wiederholt reformiert und an die neuen Gegebenheiten angepasst haben. Nichtsdestotrotz ist die Integration so wie in anderen Regionen weitergegangen, wie auch aus den Berichten des CNEL (Nationaler Wirtschafts- und Arbeitsrat) über den Integrationsindex hervorgeht. Das Fehlen eines Gesetzes behindert jedoch eine kurz- und mittelfristige Planung sowie die Umsetzung von Maßnahmen. Auch hat der fehlende gesetzliche Rahmen verstärkt zu zahlreichen nicht abgestimmten bereichsspezifischen Gesetzesmaßnahmen geführt, die in einigen Fällen das von den italienischen und europäischen Rechtsvorschriften vorgesehene Recht auf Gleichbehandlung verletzen. Um das bisher erreichte Integrationsniveau und den bestehenden Zusammenhalt beizubehalten, zu gewährleisten und zu verbessern, hofft das Netzwerk “Rete dei diritti dei senza voce“ auf eine Verabschiedung eines eigenen Landesgesetzes zur Integration.

4. Gemeinsame Grundprinzipien
Das neue Landesgesetz sollte sich an den Gemeinsamen Grundprinzipien der Europäischen Kommission „Eine gemeinsame Integrationsagenda – Ein Rahmen für die Integration von Drittstaatsangehörigen in die Europäische Union“ (siehe Anhang) orientieren.
Die Prinzipien unterstreichen auf allen Ebenen die Wichtigkeit der Achtung der Grundrechte, der Nichtdiskriminierung und der Chancengleichheit als Grundelemente der Integration, wobei auch die geschlechtsspezifische Perspektive und eine besondere Aufmerksamkeit für die Jugendlichen und die Kinder nicht vergessen werden sollten.

5. Die Maßnahmen
Um die von der Kommission ausgearbeiteten Integrationsprinzipien umzusetzen ist es nach Meinung des Netzwerkes notwendig, im Gesetz vorzusehen, wie der Eingliederungsprozess zu steuern ist. Zu diesem Zweck braucht es eigene Stellen zur Ausarbeitung sowie zur Umsetzung und Überwachung der Maßnahmen. Diese Gremien, die völlig unabhängig sind und weitgehende Finanzautonomie haben, müssen ein mehrjähriges Programm sowie eine Reihe von Maßnahmen, die jährlich umzusetzen sind, ausarbeiten.
Das Gremium, das das mehrjährige Programm für die Eingliederungspolitik ausarbeiten und vorlegen muss, wird von der Landesregierung ernannt. Vorsitzende/r ist der/die für Einwanderung zuständige Landesrat/Landesrätin. Im Gremium müssen alle Gesellschaftsbereiche ausgewogen vertreten sein, mit besonderem Augenmerk auf die Vereinigungen der Migranten und die Vereinigungen, die im Bereich der Immigration tätig sind. Zudem müssen sowohl die Maßnahmen als auch deren Umsetzung ständig von autonomen und unabhängigen Organismen überwacht und bewertet werden.
Die Ausarbeitung einer wirksamen Integrationspolitik setzt auch eine umfassende Kenntnis der Situation bzw. des Phänomens voraus. Diese Kenntnis kann auch eine eigene Institution, wie z.B. eine Beobachtungsstelle vermitteln, die mit der Forschung und der Überwachung der lokalen Migrationsdynamiken, mit Bezug auf die gesamtstaatlichen und die europäischen, beauftragt ist.
Was die notwendige Überwachung und Bewertung der Integrationspolitik auf Landesebene anbelangt, so müssen diese Funktionen unabhängigen und sachverständigen Gremien, auch außerhalb des Landes, übertragen werden, und zwar in Zusammenarbeit mit Forschungsinstituten und Körperschaften, die Forschung betreiben, wie z. B. die Universität und Forschungszentren mit Schwerpunkt Migration.

6. Beteiligung und politische Vertretung der Migranten
Derzeit ist die politische Vertretung der Ausländer in Südtirol ausschließlich den beiden mittels Wahl bestellten Beiräten der AusländerInnen in Bozen und Meran anvertraut. In Italien haben Nicht-EU-Bürger weder ein aktives noch ein passives Wahlrecht. EU-Bürger können an den Europawahlen und an den Gemeindewahlen teilnehmen, vorausgesetzt, dass sie in eigenen dazu vorgesehenen Listen eingetragen sind. In anderen EU-Staaten wie Niederlande, Großbritannien, Spanien und Belgien haben die Ausländer bei den Gemeindewahlen sowohl das aktive als auch das passive Wahlrecht. Auch wenn es nicht möglich ist, in Südtirol Gesetze zu verabschieden, die im Gegensatz zu den Staatsgesetzen stehen, fordert das Netzwerk „Rete per i diritti dei senza voce“ die autonome Provinz auf, sich einzusetzen, damit mindestens in allen 116 Südtiroler Gemeinden Beiräte oder zusätzliche Räte eingerichtet werden sowie einen mittels Wahl zu bestellenden Landesbeirat der Ausländer einzurichten, wie es bereits in der Provinz Pisa der Fall ist, wo die Mitglieder an den Arbeiten der Ratskommissionen teilnehmen können.

7. Diskriminierungen
Das künftige Landesgesetz zur Integration wird zunächst alle Bestimmungen angehen müssen, die die Ausländer diskriminieren, und insbesondere:
1. was den Zugang zur Wohnung anbelangt, sollte beim geförderten Wohnbau dem Bedürfnis wieder der Vorrang gegeben und demzufolge sowohl das Landesgesetz Nr. 9/2008 als auch der entsprechende Beschluss der Landesregierung vom 20. Juli 2009, Nr. 1885, überarbeitet werden;
2. was das Recht auf Bildung anbelangt, soll die diskriminatorische Bestimmung laut Landesgesetz Nr. 9/2004 abgeschafft werden, die den ausländischen Studenten den Zugang zu Studienbeihilfen für den Besuch von Universitäten außerhalb Südtirols verwehrt;
3. auch was die finanzielle Sozialhilfe anbelangt, sollte die Bestimmung des Dekrets des Landeshauptmanns vom 11. August 2000, Nr. 30, welche die Inanspruchnahme der Beihilfen durch Ausländer auf zwei Monate im Jahr beschränkt, überarbeitet werden.

Zudem hofft das Netzwerk, dass in Durchführung europäischer Rechtsakte die Beobachtungs-Antidiskriminierungs-, Rechtsberatungs- und Informationsstelle für Opfer von Diskriminierungen rassistischer, ethnischer, religiöser und herkunftsgebundener Art wieder eingerichtet wird.
Aufgaben dieser Stelle sind:
- Überwachung und Erfassung der Diskriminierungen im Rahmen eines Netzwerkes von öffentlichen und privaten Akteuren, die in Südtirol tätig sind;
- Information und Sensibilisierung zwecks Förderung der Kultur der Chancengleichheit und der vollen Staatsbürgerschaft für alle;
- Beistand für die Opfer von Diskriminierungen sowie deren direkter und indirekter Schutz.
Schließlich sollte auch diese Stelle, so wie die obgenannten Strukturen, Finanzautonomie und volle Autonomie in der Verwaltung haben sowie in Zusammenarbeit mit den anderen in Südtirol in diesem Bereich tätigen Objekte ein mehrjähriges Programm in Sachen Antidiskriminierung und einen Jahresplan der entsprechenden Maßnahmen mit deren Umsetzung ausarbeiten können.



Anhang:


Gemeinsame Grundprinzipien für die Politik der Integration von Einwanderern in der Europäischen Union.

1. Die Eingliederung ist ein dynamischer, in beide Richtungen gehender Prozess des gegenseitigen Entgegenkommens aller Einwanderer und aller in den Mitgliedstaaten ansässigen Personen.
2. Die Eingliederung erfordert die Achtung der Grundwerte der Europäischen Union.
3. Die Beschäftigung ist eine wesentliche Komponente des Eingliederungsprozesses und ist für die Teilhabe von Einwanderern, für ihren Beitrag zur Gestaltung der Aufnahmegesellschaft und für die Verdeutlichung dieses Beitrags von zentraler Bedeutung.
4. Grundkenntnisse der Sprache, Geschichte und Institutionen der Aufnahmegesellschaft sind eine notwendige Voraussetzung für die Eingliederung; Einwanderer können nur dann erfolgreich integriert werden, wenn sie die Möglichkeit erhalten, diese Grundkenntnisse zu erwerben.
5. Im Bildungswesen müssen Anstrengungen unternommen werden, um Einwanderer und vor allem auch deren Nachkommen zu einer erfolgreicheren und aktiveren Teilhabe an der Gesellschaft zu befähigen.
6. Entscheidende Voraussetzung für eine bessere Integration ist, dass Einwanderer zu denselben Bedingungen wie Einheimische gleichberechtigt Zugang zu den Institutionen sowie zu öffentlichen und privaten Gütern und Dienstleistungen erhalten.
7. Ein wichtiger Integrationsmechanismus sind häufige Begegnungen zwischen Bürgern und Bürgern der Mitgliedsstaaten. Diese können durch gemeinsame Foren, durch interkulturellen Dialog, durch Aufklärung über die Einwanderer und ihre Kultur sowie durch integrationsfreundliche Lebensbedingungen in den Städten gefördert werden.
8. Die Europäische Grundrechtecharta garantiert die Achtung der Vielfalt der Kulturen und das Recht auf freie Religionsausübung, sofern dem nicht andere unverletzliche europäische Rechte oder einzelstaatliches Recht entgegenstehen.
9. Durch die Beteiligung von Einwanderern am demokratischen Prozess und an der Konzipierung integrationspolitischer Maßnahmen, insbesondere auf lokaler Ebene, wird ihre Integration unterstützt.
10. Die Einbeziehung von Integrationsmaßnahmen in alle wichtigen politischen Ressorts und auf allen Ebenen der öffentlichen Verwaltung und der öffentlichen Dienste ist ein wichtiger Gesichtspunkt bei der Gestaltung und der Durchführung der jeweiligen Politik.
11. Es bedarf klarer Ziele, Indikatoren und Evaluierungsmechanismen, damit die Maßnahmen angepasst, die Integrationsfortschritte bewertet und die Informationsflüsse effizienter gestaltet werden können.


Quelle:
http://www.consilium.europa.eu/ueDocs/cms_Data/docs/pressData/de/jha/82862.pdf

giovedì 27 agosto 2009

Das Netzwerk

Das Netzwerk ff politik ausländer No. 31 / 2009


Während sich die Politik vor dem Thema Einwanderung
drückt, werden die Ausländer nun
selbst aktiv. Ein Migranten-Netzwerk arbeitet
an einem eigenen Integrationsgesetz.
Seit Amir Sadeghi denken kann,
hat er einen Traum von Freiheit.
In seinen Erzählungen kommt
dieses Wort ständig vor, immer
wieder muss er es laut aussprechen, wohl
um dessen wahren Sinn zu verstehen.
Amir ist Iraner. Sein Land nennt er
„diktatorisch“ und was sich derzeit dort
abspielt „eine schwierige Situation“. Als
er seine Heimat verließ, war er 19. Er
ging nach Bologna, um zu studieren. Als
er dort das erste Mal die vielen Zeitungen
sah, habe ihn „die grenzenlose“ Freiheit
„überrumpelt“. Das war Anfang der 80er-
Jahre. Seit rund zwölf Jahren lebt er in
Brixen. Er arbeitet als Ingenieur in Leifers.
Er pendelt jeden Tag mit dem Zug.
Seine Frau, eine italienischsprachige Südtirolerin,
hat er in Bologna kennengelernt.
Heute sagt er, es nie bereut zu haben,
hierher gekommen zu sein.
Das Wissen um Amirs Geschichte ist
wichtig, um zu verstehen, was ihn heute
antreibt. Er ist Mitbegründer und Koordinator
eines Migranten-Netzwerkes namens
„La Rete dei diritti dei senza voce“.
Im Internet hat Amir einen gleichnamigen
Blog eingerichtet. Dort steht: Wer nicht
versucht, sich jene Zukunft zu schaffen,
die er sich wünscht, muss sich mit jener
Zukunft begnügen, die sich anbietet.
Über dreißig Personen sind mittlerweile
Teil des Netzwerkes. Sie stammen
aus Marokko, Ecuador, Senegal, Albanien,
Pakistan – aber auch aus Südtirol.
Wohl zum ersten Mal setzen sich Ausländer
und Einheimische an einen Tisch
und reden über Integration und wie diese
funktionieren kann. Das Ziel: die Ausarbeitung
ein Landesgesetzes zur Integration.
„Die Einwanderer“, sagt Amir, „brauchen
eine gemeinsame Stimme.“ Zu viele
einzelne Vereinigungen gebe es derzeit im
Lande. Es sind knapp über 30; viele beschäftigen
sich allein mit ihrer eigenen
Nationalität. Amir sagt, das Netzwerk
wolle keine Barrieren aufbauen. Deshalb
seien auch viele Einheimische mit dabei.
„Wir wollen mitgestalten. Bisher wurden
wir leider nie wirklich angehört.“
Menschen, die wie Amir den Drang
verspüren, die Welt zu verbessern, nennt
man gerne abfällig „Gutmenschen“. Amir
& Co. aber geben sich keinen Illusionen
hin. Sie sagen, hier nicht naiven Lösungen
zu verfallen. Amir Sadeghi sagt:
„Wir kennen die Situation dieses Landes.
Wir wissen, dass es schwierig wird.“
Südtirol ist eine der wenigen Provinzen
Italiens mit keinem eigenen Integrationsgesetz.
Das Einwanderungsgesetz wurde
von Landesrätin Luisa Gnecchi in der
vergangenen Legislaturperiode gar nicht
erst zur Abstimmung gebracht, das Papier
liegt in der Schublade – und das Thema
damit auf Eis. Die Landesregierung zog
es vor, eine Reihe von einzelnen Maßnahmen
vor allem im Bereich Wohnbau
und Mietgeld zu erlassen. Immer wieder
erweckte man den Eindruck, Einwanderung
sei ein Sicherheitsproblem. Guido
Margheri sagt, anhand bestimmter politischer
und ideologischer Einstellungen
sei ein „künstlicher Notstand“ aufgebaut
worden. Mit der Realität habe das nichts
zu tun.
Der Bozner Gemeinderat der „Sinistra
Democratica“ arbeitet beim Migranten-
Netzwerk mit. Er sagt, die Politik denke
zu kurzfristig. Vor den Wahlen sei das
Thema Ausländer gut genug. Dann gerate
es wieder in Vergessenheit. „Hindernisse
aufbauen nützt niemandem. Dadurch erzeugt
man nur noch mehr Spannungen
in der Gesellschaft. Es ist wie eine Katze,
die sich in den Schwanz beißt.“ Den
jüngsten Beschluss der Landesregierung
hinsichtlich des Mietgeldes bezeichnet er
als „Rückschritt“. Danach werden künftig
nicht mehr 25,15 Prozent sondern 9,7
Prozent des Wohngeldes für Nicht-EUBürger
ausgegeben. Das Südtiroler Tagblatt
brachte die Nachricht unter dem Titel
„Mietgeld für Ali reduziert“.
Artan Mullaymeri sagt, der Beschluss
sei falsch. Es gehe nicht darum, welcher
Herkunft jemand sei sondern welchen
wahren Bedarf jemand habe. Artan ist ge-bürtiger Albaner. Er lebt seit über zehn
Jahren in Südtirol, arbeitet als Gewerkschafter
beim Einwandererdienst und ist
Präsident des Ausländergemeinderates in
Bozen. Auch er arbeitet beim Netzwerk
mit. Er sagt, die Politik habe die Pflicht,
Parallelgesellschaften zu verhindern. Den
Umgang der Politik mit dem Thema Integration
bezeichnet er als „kühl und unpersönlich“.
Artan sagt: „Es ist Zeit, dass
wir selbst ins Feld ziehen. Wir wollen einen
politischen Konsens finden.“
Vorschläge gibt es viele. Allein, sie
müssen noch ausgearbeitet – und teils
auch noch ausdiskutiert werden. So setzt
sich das Migranten-Netzwerk unter anderem
für die Errichtung einer Beobachtungsstelle
für Einwanderung ein, die unabhängig
von der Politik arbeiten soll.
Ebenso für die Anerkennung der Studientitel
und die Förderung und Stärkung
der sogenannten zweiten Generation,
sprich jener Generation von Ausländern,
zu dürfen, ist für viele Ausländer enttäuschend.
Ein demokratisches Land kann
die Menschen nicht aufteilen.“
Und was ist mit der Schule? Der Ausübung
der Religion? Der sanitären Versorgung?
Amir Sadeghi schüttelt den
Kopf. Vieles, sagt er, sei erst in Ausarbeitung.
Vieles wolle auch noch nicht verraten
werden, außer, dass man klare Ideen
habe. Ein Ausländer, sagt Amir, wisse,
was ihn erwarte, wenn er nach Europa
kommt. „Er kann sich anpassen.“
Mittlerweile hat eine Delegation des
Netzwerkes der zuständigen Landesrätin
einen Besuch abgestattet. Es ging um die
Eingliederung der Ausländer in Arbeitswelt
und Sozialgefüge. Barbara Repetto
sei sehr offen für ihre Anliegen gewesen,
werden die Netzwerkler später sagen. Sie
sind zuversichtlich. Guido Margheri zeigt
sich etwas skeptischer. Er sagt, man müsse
hoffen, dass den Worten auch Taten folgen.
Seit zehn Jahren spreche man über
ein organisches Einwanderungsgesetz
– und verfolge dabei stets eine Verteidigungsstrategie.
Einwanderung bedeutet immer zweierlei
– Gewinn und Last. Wer von Ausländern
spricht, spricht immer auch als
Mehrheit der Gesellschaft. Die Partei der
Mehrheit hat es verstanden, das Thema
bisher aufzuschieben. Die SVP-Gruppe
rund um Franz Pahl, die im vergangenen
Jahr noch ein „fundiertes Integrationskonzept“
forderte, hat sich in Luft
aufgelöst. Die SVP-Arbeitnehmer verabschiedeten
im vergangenen Jahr „Leitsätze“
darüber „wie Integration gelingen
kann“. Gearbeitet wurde auch im Sozialpartnerforum,
die Ergebnisse präsentierte
man der Partei. Allein, diese hat sich nicht
wirklich an das heiße Eisen gewagt. Rosmarie
Pamer sagt, man müsse aufpassen,
was man zu diesem Thema sagt. Die stellvertretende
Arbeitnehmerchefin selbst hat
keine Berührungsängste. Sie sagt, viele
Sozialausschüsse hätten auf Gemeindeebene
tolle Integrationsprojekte erarbeitet
– „die auch funktionieren“.
Amir ist zuversichtlich. Er ist es leid,
dass die Ausländer für den politischen
Diskurs instrumentalisiert werden. Er
sagt, es gehe um Verantwortung. „Wir
wollen den ersten Schritt machen.“ n
Alexandra Aschbacher
„ Die Politik denkt zu
kurzfristig. Sie baut
einen künstlichen
Notstand auf.“
Guido Margheri, Gemeinderat Bozen
die in Südtirol geboren ist, hier zweisprachig
aufwächst und vielleicht gar Dialekt
spricht. Rainer Girardi spricht von dieser
als einem „wertvollen Bindeglied“. Der
OEW-Bildungsreferent ist Teil des Netzwerkes.
Er sagt, beim Gesetz gehe es um
Solidarität, nicht um Bürgerwehren.
Einer der Knackpunkte des Migrantengesetzes
jedoch dürfte die Forderung
des Wahlrechtes für Ausländer bei Gemeinde-
und Landtagswahlen sein. Amir
sagt, für die wahre Integration sei dies ein
entscheidender Aspekt. „Nicht wählen
Ende 2008 waren 36.284 Ausländer in Südtirol ansässig, das entspricht einem Zuwachs
von zehn Prozent im Vergleich zum Vorjahr. Der Ausländeranteil an der Gesamtbevölkerung
machte zu Beginn 2008 6,7 Prozent aus, am Ende des Jahres waren es 7,3 Prozent
Südtiroler Realität: Ausländer in
Salurn
Foto: Oliver Oppitz
In Südtirol ansässige Ausländer 1990 – 2008

lunedì 8 giugno 2009

Dall’Italia al Sudtirolo: prove tecniche di integrazione

Articolo per Skolast:
di Paolo Attanasio

Dall’Italia al Sudtirolo: prove tecniche di integrazione
Quando la redazione di Skolast mi ha chiesto una riflessione sull’attuale situazione in cui versa l’Italia a proposito della perversa spirale che si avvita fra esplosioni di intolleranza razziale, minimizzazioni da parte dei media e involuzione sicuritaria della legislazione nei confronti degli stranieri, mi sono detto che sicuramente non sarebbe stato un problema scrivere un articolo sul tema, data l’abbondanza di fatti, narrazioni e commenti esistenti in proposito. Al contrario, però, la difficoltà si è rivelata proprio quella, in un certo senso, di non saper da dove cominciare, appunto perché le manifestazioni in questo senso si accavallano e si inseguono senza sosta, e i segnali dell’involuzione razzista sono tanto più preoccupanti in quanto coperti da quella patina di indifferenza generale che li rende possibili e, in fondo, quasi giustificati. L’ubriacatura collettiva per la sicurezza ha preso un tale slancio, che orami più di un commentatore descrive l’Italia come un paese “neo-proibizionista”, in cui le amministrazioni locali (soprattutto del centro-nord) fanno a gara nell’escogitare e mettere in pratica i divieti più fantasiosi (dalla recentissima normativa regionale “anti-kebab” in Lombardia, al divieto di servire pietanze “esotiche” nel centro storico di Lucca, fino alle panchine che impediscono di sdraiarsi di Verona). Ovviamente le “vittime” di questo giro di vite non solo soltanto gli stranieri, ma è ovvio che proprio i migranti risultano essere i più colpiti, in quanto anello debole della catena.
Cerchiamo innanzitutto di sgombrare il campo da un luogo comune che ultimamente si sente spesso ripetere, anche a mo’ di giustificazione: non è la recentissima crisi economico-finanziaria scoppiata nella seconda metà del 2008 il motore di questa tendenza, che invece è iniziata molto prima (si pensi ad esempio all’assalto al campo rom di Opera, in Lombardia, del 2006). In realtà, dal 2002 in poi (anno di approvazione della Bossi-Fini) la legislazione italiana si trova su un piano inclinato, e la normativa nazionale sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero è andata sempre più inasprendosi, nell’erronea illusione che più repressione potesse fermare o almeno limitare l’immigrazione clandestina. In realtà, il fenomeno dell’immigrazione clandestina è da vedersi paradossalmente come l’unico canale di entrata in un paese che chiude progressivamente tutti gli altri.
Fin da quando l’Italia è diventata un paese di immigrazione (e cioè, grosso modo, negli anni ’80) il governo del fenomeno è sempre stato tendenzialmente negato e ignorato, oppure considerato in maniera residuale. Ciò essenzialmente perché si tratta di un tema che, se considerato in termini realistici e positivi, cioè di gestione di un fenomeno finalizzata all’obiettivo della coesione sociale, risulta poco fruttuoso in termini politici ed elettorali. Al contrario, se lo si trasforma in una questione di sicurezza, di tutela del cittadino autoctono rispetto alla presunta caduta di benessere o di servizi e privilegi fino ad allora fuori discussione (come ad esempio la casa) o, ancor peggio, di identità minacciata da una supposta Überfremdung, ecco che l’argomento si trasforma in una miniera d’oro, ampiamente sfruttabile per la creazione di improbabili fortune politiche.
La miope politica governativa sembra voler fare di tutto per costruire un consenso popolare attorno a misure che rendano sempre più invivibile il nostro paese per gli stranieri, anche se perfettamente regolari. Solo per citare alcuni esempi, pensiamo alla difficoltà di accedere alla cittadinanza italiana per naturalizzazione: la nostra legislazione (a ragione definita “familismo legale” da Giovanna Zincone, una delle maggiori studiose italiane del fenomeno) prevede dieci anni di residenza legale in Italia solo per fare domanda di naturalizzazione, ai quali bisogna poi aggiungere un numero imprecisato e variabile di anni per ottenerla. A mo’ di confronto, si pensi che gli anni necessari per la naturalizzazione sono 5 in Francia, 3 in Belgio, e 8 perfino in Germania, paese tradizionalmente legato allo jus sanguinis, che li ha dimezzati con l’ultima riforma. Sempre in base al diritto del sangue, che regna incontrastato in Italia, chi nasce in Italia da genitori stranieri è condannato ad una vita da extracomunitario fino alla maggiore età. E come la mettiamo con i milioni di stranieri residenti in Italia da diversi anni, che non hanno alcun diritto di partecipazione politica, neppure a livello comunale? Si tratta di “un deficit di democrazia che lede il principio del suffragio universale”, come ha di recente affermato Pietro Soldini, responsabile immigrazione della CGIL, una regola che mette in discussione la qualità stessa della nostra democrazia rappresentativa, soprattutto al confronto con altri Paesi europei (Paesi Bassi, Belgio, Danimarca, Spagna, Regno Unito, Irlanda, Svezia, Ungheria, solo per citarne alcuni) dove gli stranieri non comunitari godono da decenni del diritto elettorale attivo e passivo nelle consultazioni di livello locale.
Con tali premesse, appare francamente difficile chiedere ai nuovi italiani uno sforzo per integrarsi, laddove è noto che l’integrazione rappresenta un processo reciproco, in cui anche il paese che accoglie deve dare concreti segnali di apertura. E infatti, al posto dei concreti segnali di apertura, quello che invece ci piove addosso è il cd. pacchetto sicurezza, oggetto negli ultimi mesi di un costante gioco al rialzo fatto di successive proposte di emendamento volte ad inasprirlo sempre più (e a guadagnare facili consensi, parlando alla pancia della gente). Molto è stato già detto sul pacchetto sicurezza e sulle sue norme più odiose, dall’introduzione del reato di immigrazione, alla denuncia degli irregolari da parte del personale sanitario, all’allungamento dei tempi di permanenza nei CPT (ribattezzati CIE, centri di identificazione ed espulsione). Alcuni studiosi, come ad esempio Maurizio Ambrosini, hanno giustamente fatto notare che, tra le molte norme del pacchetto sicurezza, nessuna inasprisce le pene per i datori di lavoro di immigrati irregolari. Anzi, i controlli ispettivi sui luoghi di lavoro sono stati alleggeriti”. Al momento di scrivere queste righe, assisitiamo ad una sorta di tiro alla fune sull’introduzione delle ronde e sull’allungamento delle permanenza nei CIE. Ancora in forse l’abolizione del divieto di denunciare gli immigrati irregolari da parte del personale sanitario. E’possibile che si tratti solo di “incidenti di percorso”, che ad ogni modo fanno ben sperare, sia sull’esistenza di un’opposizione, sia sulla scarsa disponibilità della maggioranza di governo a seguire il delirio sicuritario della sua ala più oltranzista. Questa involuzione dell’Italia non è passata inosservata all’estero, e diversi organismi internazionali che vigilano sul rispetto dei diritti umani l’hanno segnalata con preoccupazione al governo nazionale. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), ad esempio, esprime preoccupazione, in un suo rapporto del 2009, per le “violazioni di diritti umani fondamentali, specialmente di migranti irregolari provenienti da Africa, Asia ed Europa dell’Est, e per un clima apparentemente di crescente intolleranza, violenza e discriminazione nei confronti della popolazione immigrata, soprattutto dei Rom di origine rumena”. Oltre all’ OIL, anche il Consiglio d’Europa esprime la sua preoccupazione sulla maniera in cui il nostro paese gestisce le politiche migratorie e sull’ampio spazio che lascia alle manifestazioni di razzismo. “Nonostante siano stati compiuti degli sforzi – afferma il commissario ai diritti umani Hammarberg – permangono preoccupazioni per quanto riguarda la situazione dei rom, le politiche e le pratiche in materia di immigrazione e il mancato rispetto dei provvedimenti provvisori vincolanti richiesti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo”. “Le autorità – ha aggiunto – dovrebbero condannare più fermamente ogni manifestazione di razzismo o di intolleranza e garantire l’effettiva applicazione della legislazione anti-discriminazione”.
La situazione in Sudtirolo
Se questo è, in breve, il quadro a livello nazionale, qual è la situazione nella nostra autonoma provincia? Come è nelle tradizioni di questa terra, i toni del confronto politico sono (fortunatamente per chi deve seguirlo) più smorzati e soffusi. Al di là di questo, però, anche qui da noi non mancano i segnali di insofferenza verso una reale integrazione degli stranieri nella nostra società locale, e le tendenze a privilegiare il modello della cd. “integrazione subalterna”.
Per quanto riguarda il panorama legislativo, la provincia autonoma di Bolzano è l’unico ente territoriale italiano a non essersi ancora dotato di una legge provinciale sull’integrazione dei cittadini stranieri, prevista fra l’altro dalla legislazione nazionale. A questo proposito va ricordato che non solo tutte le regioni e le province autonome italiane dispongono ormai di una propria legge sull’immigrazione, ma che diverse fra queste sono già alla seconda o alla terza generazione (di pari passo con l’evolversi della normativa nazionale). Nel 2004, in verità, l’amministrazione provinciale aveva nominato un gruppo di lavoro ad hoc con il compito di elaborare un disegno di legge: la bozza prodotta però, presumibilmente per motivi di opportunità politica, non è mai approdata all’esame della Giunta provinciale. Già negli anni scorsi, infatti, il clima politico e l’attitudine dell’opinione pubblica nei confronti del fenomeno migratorio erano sensibilmente peggiorati, e quindi un’iniziativa legislativa considerata “in favore” degli immigrati non sarebbe stata politicamente pagante.
Un altro segnale poco incoraggiante è la “delocalizzazione” dell’Osservatorio provinciale sulle immigrazioni presso l’EURAC, che ha anche coinciso con un drastico ridimensionamento delle sue attività e del personale. Sembra che sia ora intenzione dell’attuale giunta provinciale riprendere il pieno controllo di questo importante strumento di ricerca e di indirizzo dell’attività politica, che per diversi anni ha operato in maniera efficace, ancorché con un precario status di progetto.
Passando a questioni che più concretamente influenzano la qualità della vita degli stranieri nel nostro territorio, è da registrare una recente restrizione al diritto alla casa. Fra i diritti sociali, l’alloggio è forse il più importante, sia per il significato di integrazione che possiede, sia anche perché spesso consente il ricongiungimento con la famiglia lontana. Dall’altra parte, la casa rappresenta il bene identitario per eccellenza, soprattutto in un territorio come il nostro, segnato da divisioni storiche non ancora riassorbite. Si tratta quindi, purtroppo, di un terreno di scontro privilegiato fra “autoctoni” (parola, fra l’altro, quanto mai ambigua in un contesto come quello sudtirolese) e nuovi residenti. Negli ultimi anni, il diritto degli stranieri residenti in provincia di avere accesso all’edilizia abitativa agevolata come tutti gli altri cittadini (stabilito fra l’altro dalla normativa nazionale) è stato costantemente sottoposto al bombardamento mediatico di una “politica dell’annuncio” che anticipava modifiche restrittive a questo diritto, sostenendo che gli stranieri beneficerebbero in maniera “eccessiva” delle sovvenzioni pubbliche locali all’abitazione. A lungo, dunque, il decisore politico locale ha voluto “saggiare”, per così dire, la risposta dell’opinione pubblica rispetto ad un possibile giro di vite nella materia, preannunciandolo senza mai effettivamente realizzarlo. La stampa locale ha naturalmente svolto la propria funzione di cassa di risonanza, ampliando e “drammatizzando” opportunamente l’annuncio. In realtà, nella seconda metà del 2008 le forze politiche sono addivenute ad un accordo che ha dato vita alla riforma della legge provinciale sull’edilizia abitativa agevolata. Sintetizzando al massimo, la riforma prevede che anche il cd. “sussidio casa” (contributo all’affitto sul mercato libero) sia riservato ai residenti da almeno cinque anni in provincia. La legge introduce inoltre il principio del contingentamento delle abitazioni IPES disponibili per l’ affitto agli stranieri extra-UE secondo la loro consistenza numerica, mentre precedentemente l’unico criterio di assegnazione era, di fatto, quello del fabbisogno. Un’altra disposizione limita poi la presenza di famiglie straniere (sempre extra-UE) al 10% in ogni condominio. La norma si presta a diversi livelli di lettura: da una parte appare evidente la preoccupazione del legislatore di non concentrare gli immigrati (“socialmente indesiderabili”), in pochi condomini, in cui verrebbero a trovarsi in maggioranza. Il fatto che siano considerati come un peso e un elemento di disturbo giustifica quindi il tentativo di “ripartire l’onere”. Ma oltre a ciò, si può notare che la norma, impedendo una presenza di immigrati superiore al 10% per edificio, introduce di fatto un tetto del 10% (non previsto dalla legge del 1998) alla presenza di immigrati nella totalità degli alloggi di edilizia abitativa residenziale.
Tutto sommato, l’intervento sul diritto alla casa (e sulla parità di diritti con gli altri residenti) appare piuttosto pesante, soprattutto se si considera che la comunità immigrata in provincia ha fornito nel 2005 una contribuzione fiscale di oltre 71 milioni di Euro, a fronte di un reddito prodotto di oltre 230 milioni, come risulta dai dati relativi alle dichiarazioni dei redditi del 2005, forniti dall’ INPS. Sarebbe quindi di estrema importanza cercare di sostenerne gli sforzi di integrazione con tutti i mezzi disponibili, invece di frustrarne le legittime aspirazioni.
Ma non sono soltanto le concrete modifiche legislative a lasciare perplessi, quanto piuttosto anche i tentativi “ a monte” di teorizzare il grado di “integrabilità” degli stranieri nella comunità locale, differenziandolo per colore della pelle e provenienza. A questo proposito, ricordiamo un documento sull’immigrazione a livello locale, elaborato e presentato da alcuni esponenti della Südtiroler Volkspartei (SVP) nel 2007. Il documento, sostenendo che gli immigrati di religione musulmana sono difficilmente integrabili in quanto portatori di un messaggio di intolleranza, propone un modello di integrazione subalterna di fatto simile all’assimilazionismo, e auspica un’immigrazione limitata sia nel numero che nella tipologia, augurandosi che gli stranieri da “accogliere” provengano essenzialmente da quell’ “abendländisch geprägten – vor allem europäischen – Kulturkreis”. Al di là di questa “selezione a monte”, gli estensori del documento chiedono che i migranti provenienti da paesi esterni all’Unione europea vengano ammessi a fruire delle prestazioni sociali e dei benefici riguardanti l’edilizia abitativa agevolata solo in misura limitata e comunque proporzionale alla loro consistenza numerica, di modo che “sie nicht Einwanderungsgrund werden”. Anche se il documento è rimasto formalmente allo stadio di proposta, non è difficile constatare che alcuni suoi punti sono stati direttamente ripresi dal legislatore provinciale nella riforma della disciplina dell’edilizia abitativa provinciale.
Conclusioni e prospettive future
Come si vede, anche in Sudtirolo non mancano segnali capaci di destare una certa preoccupazione. Al di là di questa, che, come si è visto, rappresenta una tendenza generale sia a livello nazionale che internazionale, in alcuni casi la reazione della società civile e di alcuni esponenti politici (nonché della magistratura) è riuscita a fermare (almeno per il momento) i tentativi più scoperti di creare un “allarme sicurezza” attorno ad alcuni episodi di cronaca. E’ quindi positivo che la giunta comunale che governa la città di Bolzano abbia finora resistito alle pressioni di chi pretende di risolvere con un’ordinanza di tipo repressivo la presenza di alcuni stranieri che chiedono l’elemosina per le vie del centro cittadino, come pure positiva è la sentenza emessa nel mese di aprile dal T.A.R. di Bolzano che annulla un’ordinanza analoga emessa nel 2008 dalla città di Merano. Un altro segnale incoraggiante – con il quale concludiamo questa riflessione – è che anche i cittadini stranieri che vivono nella nostra provincia iniziano ad organizzare una propria opposizione alla deriva sicuritaria che minaccia di lambire anche questo territorio.
Dall’inizio del 2009 è infatti attiva a Bolzano una rete di coordinamento di cittadini stranieri e italiani (La Rete per i diritti dei Senza Voce), creata con l’obiettivo principale di informare e sensibilizzare l’opinione pubblica locale sui temi legati all’immigrazione, ma anche di denunciare episodi di razzismo e xenofobia, fornendo assistenza alle vittime. La Rete, nata sull’onda dell’opposizione al pacchetto sicurezza, ha già promosso un’iniziativa pubblica a Bolzano, proprio sul tema della nuova legislazione nazionale, e ha attivamente partecipato alla manifestazione del 25 aprile scorso. Un segnale importante, con il quale si ribadisce il diritto/dovere degli stranieri di entrare a pieno titolo in tutti gli aspetti della vita pubblica nazionale e locale.
Non a caso un’iniziativa dal basso come la Rete nasce in un periodo di difficoltà economica, in cui la crisi occupazionale (che, se colpisce in primo luogo gli stranieri, si fa ovviamente sentire pesantemente anche sui cittadini italiani) può facilmente scatenare guerre tra poveri e disgregare il già fragile tessuto sociale locale. L’aspetto forse più innovativo della Rete è proprio il fatto che l’iniziativa è partita da un gruppo di cittadini stranieri, cui si sono poi affiancati diversi autoctoni.
Anche qui registriamo quindi una significativa inversione di tendenza rispetto alle molte organizzazioni per i diritti degli stranieri, di fatto monopolizzate da cittadini italiani.
Iniziative come quelle della Rete (che, fra l’altro, già vanta solidi contatti con organizzazioni anti-razziste a livello nazionale) lasciano indubbiamente ben sperare nella capacità dei cittadini locali (al di là della diversità di lingua, provenienza e passaporto) di auto-organizzarsi e di far sentire la propria voce sia al decisore politico che alla cittadinanza locale.

venerdì 5 giugno 2009

Alcuni dati sulla criminalità secondo il rapporto Caritas 2008

Alcuni dati sulla criminalità secondo il rapporto Caritas 2008
nel quinquennio 2001-2005 la popolazione immigrata regolare è raddoppiata, passando da 1.334.889 a 2.670214 persone( più l'aumento non stimabile degli irregolari) Nello stesso quinquennio le denuncie degli stranieri non sono raddoppiate , ma aumentate meno della metà, cioè il 45%,Secondo Gian Antonio Stella in un articolo sul Corriere ,le rapine erano 40 mila agli inizi degli anni 90 quando erano pochi gli stranieri presenti , sono diventate 50mila nel 2006 (più 25%) mentre la popolazione immigrata è aumentata di 5 volte(più 400% ).

Si sfata quindi l'idea del rapporto proporzionale tra aumento degli immigrati e aumento dei reati.
nel 2007in italia ci sono stati 2000 stupri denunciati e l'italia è all'11 posto in Europa per questo reato (dopo la Gran bretagna, la Francia, la Germania,la Spagna. In Italia gli stupri denunciati in relazione alla popolazione femminile sono lo 0,01 ),mentre in Belgio e Svezia per esempio sono lo 0.05 e in USA lo 0,13. ,Sempre nel 2007 gli stupri commessi dagli stranieri sono il 10% del totale rispetto agli italiani e il 69% è commesso da italianissimi partner,mariti , fidanzati e amici. Lo spettro dell'immigrato che violenta la donna italiana è soprattutto un pregiudizio, una bugia. Una notizia mai data dalla stampa è che i parenti della povera Reggiani uccisa da un rom rumeno a Roma (e denunciato da una donna rom ) su cui la destra ha costruito la propria vittoria a Roma, in memoria della loro congiunta hanno finanziato un progetto di cooperazione in Romania. Questo è il simbolo dell'Italia migliore , dell'italia che non ha paura.
Un ultimo dato: a Bolzano secondo il questore i reati sono diminuiti e a Don Bosco dove la destra ha cercato di soffiare sul senso di insicurezza,organizzando un'assemblea, quest'anno ci sono state solo 2 risse tra ubriachi.
La realtà è che gli italiani hanno paura della crisi economica, dei cambiamenti epocali in atto e la destra cerca di approfittare di queste paure rivolgendole contro gli stranieri per scatenare una guerra tra poveri

mercoledì 3 giugno 2009

la Toscana vara la proposta di legge

SOCIALE
Approvata oggi pomeriggio dalla giunta regionale
Immigrazione, la Toscana vara la proposta di legge
Punti chiave: politiche antidiscriminatorie, cittadinanza sociale, emersione dalla clandestinità

Claudio Martini e Gianni Salvadori

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La proposta di legge che è stata approvata oggi pomeriggio dalla giunta regionale punta alla costruzione di un modello civile di convivenza, ad eliminare qualsiasi forma di discriminazione, ad estendere i diritti di cittadinanza sociale ed in definitiva ad ottenere il primato della persona aiutandola ad emergere dalla condizione di clandestinità. I vari articoli tengono conto anche delle prospettive di evoluzione della normativa nazionale oltre che della giurisprudenza costituzionale che si è sviluppata dopo la riforma del Titolo V. Senza infine tralasciare molti dei principi contenuti nello Statuto della Toscana.«La nostra intenzione con questa proposta di legge – ha spiegato il presidente Claudio Martini – è di affrontare questo delicato tema in modo serio e concreto e non demagogico. La nostra idea è di rendere più semplice la condizione dei regolari e di combattere l'irregolarità. Chi vive e fa il proprio dovere civico in Toscana deve vedersi semplificata la vita. Pensiamo cosa potrebbe succedere se un giorno tutti gli stranieri che vivono in Italia decidessero di assentarsi per un paio di mesi? Interi settori produttivi sarebbero costretti a chiudere, il paese si fermerebbe. Queste persone sono per noi un'opportunità non una minaccia. La legge che presentiamo non ha la pretesa di creare ex novo un nuovo sistema di servizi per il cittadino straniero ma di potenziare e sviluppare quelli che già ci sono. Vogliamo creare le condizioni per informarli su ciò che è un loro diritto avere, per renderli concretamente parte integrante e attiva della società in cui vivono».«Questo testo di legge – ha ricordato l'assessore alle politiche sociali Gianni Salvadori - è stato il frutto di un percorso concertato e partecipato, al quale ha contribuito tutta la società toscana. Il fenomeno ormai è inarrestabile, occorrono regole certe ed omogenee per governarlo. Non vogliamo che gli immigrati vengano trascinati dentro un sistema, che gli siano imposte delle regole 'dall'alto'. Devono essere loro i protagonisti attivi della comunità in cui hanno scelto di vivere. Una delle condizioni principali per far si che ciò si realizzi è informarli delle opportunità a loro disposizione».Il testo si compone di 9 capi e 37 articoli. Attenzione particolare viene riservata a tutte quelle azioni positive che mirano a facilitare le relazioni tra cittadino straniero e servizi del territorio come quelli sanitari, dell’istruzione, del lavoro, della casa mediante interventi tesi a superare le barriere linguistiche e culturali che impediscono la fruizione piena dei diritti ed una partecipazione consapevole.Riconoscimento dei titoli professionali. Le competenze acquisite nel Paese di origine potranno essere valorizzate. Questo potrà avvenire anche in base a specifici accordi.Interventi sociali urgenti e indifferibili. Un tetto dove passare la notte, qualcosa da mangiare, un riparo dal freddo. Potranno beneficiarne anche i cittadini stranieri privi di permesso di soggiorno, soprattutto nelle situazioni di particolare gravità. Si tratta di un'estensione innovativa.Accesso degli extracomunitari irregolari al servizio sanitario. Dando piena attuazione al testo unico sull’immigrazione, la pdl favorisce attraverso azioni informative e misure organizzative pieno accesso degli extracomunitari irregolari alle prestazioni del servizio sanitario. L’unificazione delle tessere STP (Straniero Temporaneamente Presente) rientra tra le misure che potrebbero essere realizzate in futuro. La tessera STP, già prevista a livello nazionale da oltre 10 anni, permette allo straniero senza permesso di soggiorno valido (perché scaduto, non rinnovato o mai ottenuto), di essere curato in ospedale o in ambulatorio. La tessera va richiesta alla ASL. L'assistenza è garantita ai bambini o in caso di infortunio, malattie gravi, patologie infettive e in gravidanza. Alcuni servizi sono completamente gratuiti, altre volte viene richiesto il pagamento del ticket. Il clandestino che va da un medico o in ospedale riceverà le cure necessarie e non sarà denunciato per il fatto di non avere il permesso di soggiorno. In tal senso, scopo della pdl, è rendere gli stranieri informati sul funzionamento della tessera e dei servizi a cui può accedere.Insegnamento della lingua italiana. Aspetto che assume un rilievo essenziale proprio per permettere al cittadino straniero di vivere come soggetto attivo e responsabile all’interno della comunità.Rispetto delle differenze religiose. Previsti interventi tesi a favorirlo nei diversi ambiti di vita: luoghi di lavoro, ospedali, istituti penitenziari ecc. Attenzione particolare ai soggetti “deboli”. Richiedenti asilo e rifugiati, minori e donne in stato di gravidanza, vittime di tratta e sfruttamento, detenuti.Sostegno e rafforzamento della rete regionale di sportelli informativi. Il loro compito è aiutare il cittadino straniero nel suo percorso di stabilizzazione e semplificarne i rapporti con la P.A., soprattutto per quanto riguarda le procedure relative ai rilasci e ai rinnovi dei permessi di soggiorno. Avranno inoltre il compito di favorire il rapporto tra cittadino straniero e la generalità dei servizi offerti dalla PA sul territorio.Prevenzione delle mutilazioni genitali femminili. La pdl rappresenta anche l’occasione per dare attuazione a normative nazionali. Sono previste attività di formazione, informazione e mediazione, così come previsto dalla Legge nazionale n. 7 del 2006.Promozione della convivenza interculturale. La pdl non ignora i delicati problemi di convivenza che i flussi migratori possono portare con la trasformazione repentina e talvolta traumatica delle comunità urbane e rurali.Accesso al servizio civile regionale. É prevista la promozione di campagne informative per favorirne l’accesso da parte di giovani stranieri di “seconda generazione” per farli sentire protagonisti della vita sociale e politica della comunità in cui sono nati e cresciuti.Impresa, Università e ricerca. Attraverso previsioni specifiche viene prestata adeguata attenzione alla presenza e alla valorizzazione di cittadini stranieri altamente qualificati. Facilitazione dell'accesso all'imprenditoria come forte strumento di integrazione.

Regione PugliaLegge politiche integrazione immigrati

Fonte: Regione PugliaLegge politiche integrazione immigrati: al via la fase d'ascoltoLa Giunta Regionale ha dato avvio a fine febbraio, con la prima preso d’atto del disegno di legge presentato dall’Assessore Elena Gentile, al percorso per la formazione della nuova legge regionale per l’integrazione culturale e l’inclusione sociale degli immigrati in Puglia. Sono interessate tutte le organizzazioni di volontariato e i soggetti del terzo settore pugliese, ma anche le comunità e i gruppi di immigrati che vivono in tutti i Comuni pugliesi. La Giunta Regionale ha dato avvio a fine febbraio, con la prima preso d’atto del disegno di legge presentato dall’Assessore Elena Gentile, al percorso per la formazione della nuova legge regionale per l’integrazione culturale e l’inclusione sociale degli immigrati in Puglia. Sono interessate tutte le organizzazioni di volontariato e i soggetti del terzo settore pugliese, ma anche le comunità e i gruppi di immigrati che vivono in tutti i Comuni pugliesi. Un percorso che la Giunta ha unanimemente inteso aprire alla partecipazione di quanti vogliano contribuire ad accrescere la capacità della nuova legge di guidare le politiche regionali in materia di immigrazione, proprio in una fase assai delicata e decisiva per i diritti degli immigrati in Puglia. Dopo un biennio nel quale la Regione ha sostenuto e promosso importanti sperimentazioni per le strutture e i servizi di accoglienza e di integrazione degli immigrati (gli alberghi diffusi o centri di accoglienza per i lavoratori stranieri immigrati stagionali, i certi interculturali per immigrati, i corsi di lingua italiana, l’introduzione delle figure dei mediatori culturali nei servizi socio-sanitari, ecc..), siamo alla vigilia dei nuovi investimenti di risorse nazionali e comunitarie per le politiche regionali in favore degli immigrati. E che ci sia una nuova legge regionale a disegnare il contesto di principi, di approcci culturali e di diritti da rendere esigibili per tutti i cittadini stranieri immigrati è, ormai, considerata una priorità assoluta. Sono già diverse le Regioni che negli ultimi anni hanno innovato la rispettiva normativa regionale: Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Lombardia e altre ancora. La Puglia ha una legge, che risale al 2000, e che, tuttavia, i più considerano ormai superata perché non è raccordata con le più recenti normative nazionali e regionali e non offre il necessario supporto alle nuove politiche abitative, formative, sociali e sanitarie in favore degli immigrati. L’iter del disegno di legge che l’Assessorato alla Solidarietà ha predisposto, con il supporto del gruppo di lavoro che si era costituito all’indomani degli Stati Generali sull’immigrazione, svoltisi a Bari nel febbraio 2006, sulle politiche per l’accoglienza e l’inclusione dei cittadini e delle cittadine straniere immigrate, prosegue, dunque, con una fase di ascolto e partecipazione allargata che, dopo la rielaborazione dei contributi che perverranno nelle prossime settimane, porterà alla versione finale del disegno di legge, che sarà sottoposto alla valutazione e alle decisioni della Giunta, auspicabilmente entro la fine di aprile. Tutte le modifiche e le integrazioni saranno illustrate a tutto il partenariato sociale e istituzionale per una piena condivisione dell’impianto complessivo del disegno di legge. Quindi prenderà avvio l’iter di discussione del ddl in Consiglio Regionale, dove ci si augura che possa vedere la luce la nuova legge entro il mese di giugno. Per contribuire alla stesura del disegno di legge, può essere compilata la scheda allegata, si può far riferimento entro l’11 aprile prossimo, via fax allo 080-5404262 oppure via e-mail a pugliasociale@regione.puglia.it . L’iter del disegno di legge non ferma le attività dell’Assessorato alla Solidarietà, che sta avviano in questi giorni l’Osservatorio Regionale per i Movimenti Migratori, che sta rifinanziando le attività di gestione dei tre alberghi diffusi già finanziati e i quattro centri interculturali, mentre sono in procinto di essere avviati i corsi di lingua italiana e il fondo di garanzia per il sostegno all’alloggio dei nuclei familiari di immigrati, insieme al bando per la realizzazione di nuovi alberghi diffusi (risorse FESR) e per la formazione e l’inserimento lavorativo degli immigrati (risorse FSE).Data: Mar, 25 Marzo 2008 @ 10:01Categoria: Comunicati S. Stampa Giunta

Immigrati: serve una nuova legge per l’integrazione e l’inclusione

Immigrati: serve una nuova legge per l’integrazione e l’inclusione
pubblicato da: admin in diritti umani, economia, immigrazione, società — admin 18 Aprile, 2008 @ 9:49 am
“ Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.”
Nel presentare il nuovo disegno di legge depositato oggi in Consiglio provinciale ho voluto non a caso citare la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, di cui quest’anno ricorrono i sessant’anni dall’approvazione. E credo di aver dimostrato un certo “coraggio” nel presentare una nuova iniziativa proprio su un tema che nelle ultime settimane è stato particolarmente dibattuto dalle parti politiche, con toni non sempre diplomatici.
In un momento storico nel quale il fenomeno migratorio è spesso percepito come fonte principale di pericolo ed insicurezza sociale ritengo doveroso riaffermare alcuni principi fondamentali che governano la nostra società, in primis i diritti universali che vanno riconosciuti ad ogni persona. Ogni fenomeno - e quello migratorio tra questi - necessita di conoscenza, di capacità di gestione, di saggezza e di lungimiranza. Tutti gli studiosi confermano la necessità dell’immigrazione per il nostro Paese, anche semplicemente per motivi demografici ed economici.
In realtà molto è stato fatto dalla Provincia autonoma di Trento, da altre istituzioni e da associazioni ed organizzazioni basate sul volontariato, ma evidentemente molto rimane ancora da fare, tra l’altro sul versante delle attività per la completa interazione tra la popolazione autoctona ed i cittadini immigrati. Altrimenti non si spiegherebbero così diffuse manifestazioni di aperta insofferenza verso la presenza di cittadini di origine straniera, in molti casi del tutto ingiustificate.
Il fenomeno migratorio segnala numeri importanti anche per quanto riguarda la provincia di Trento: al 1° gennaio 2007 gli stranieri residenti erano infatti 33.302, pari al 6,6% della popolazione residente. Significativo anche il dato riferito ai figli di immigrati in età scolare: 2134 unità fra i 6 e i 10 anni (8,2% della popolazione residente nella stessa fascia d’età), 2667 unità fra gli 11 e i 17 anni (7,6% della popolazione residente nella stessa fascia d’età).
Le aree cui prestare attenzione nell’ottica di una politica di inclusione dei cittadini e dei nuclei familiari immigrati sono a mio avviso essenzialmente tre: accoglienza e orientamento; promozione di diritti; cittadinanza e interculturalità.
A distanza di quasi un ventennio dall’approvazione della legge provinciale vigente esiste la consapevolezza della dimensione assolutamente strutturale e non più emergenziale del fenomeno, divenuto un aspetto “normale” della vita di tutti i giorni. E’ in tale contesto che deve nascere l’esigenza di una politica per l’immigrazione che vada oltre la gestione dell’accoglienza e che, riconoscendo i diritti fondamentali a tutte le persone migranti, tenda alla valorizzazione degli immigrati regolarmente soggiornanti promuovendo la loro integrazione attraverso un progressivo processo che favorisca il pieno godimento dei diritti di cittadinanza. Si impone, pertanto, la necessità di un aggiornamento della legge provinciale, tanto più auspicabile nel momento in cui verrà nuovamente modificata la legislazione statale, la quale non potrà considerarsi pienamente applicata fintanto che non venga recepita nella legislazione locale.
Il nuovo disegno di legge – “Disposizioni per favorire l’integrazione e l’inclusione sociale dei cittadini immigrati” - stabilisce all’art. 1 i principi ispiratori, vale a dire, la volontà della Provincia di promuovere politiche attive di inclusione degli immigrati, anche di provenienza extracomunitaria che risiedono stabilmente (o per lunghi periodi) nella nostra provincia, per ragioni di lavoro, studio o ricongiungimento familiare, riconoscendone pienamente i diritti fondamentali di cittadinanza e considerando la loro presenza un importante fattore di crescita civile ed economica per la nostra comunità.
L’articolo 2 individua nel Piano provinciale degli interventi ed in un apposito fondo economico i due strumenti operativi a disposizione della Giunta provinciale per l’adozione di specifiche azioni di inclusione. L’articolo individua, in modo dettagliato, i settori di intervento e gli obiettivi di tale politica a favore degli immigrati.
L’art. 3 prevede l’istituzione di una apposita Agenzia alla quale faranno capo tutte le politiche a favore dell’immigrazione. Si tratta di uno strumento operativo, già sperimentato in altri settori, utile per superare la frammentazione degli interventi ed avere un costante monitoraggio delle problematiche che i fenomeni migratori inevitabilmente comportano. In questo modo si potrà, da un lato, non disperdere la positiva esperienza e il consistente bagaglio di conoscenza acquisito attraverso la struttura CINFORMI, dall’altro mettere a disposizione di una struttura “di servizio” anche gli strumenti per politiche attive a favore dell’immigrazione, oggi frammentate su più settori. La norma rinvia ad apposito regolamento la disciplina specifica delle modalità di funzionamento dell’Agenzia.
L’art. 4 intende infine affrontare il problema del recupero e del reinserimento di immigrati in presenza di fenomeni di devianza sociale e di microcriminalità.
Il disegno di legge, redatto avvalendomi di uno studio preparatorio e di una consulenza specialistica, ha recepito e riproposto per il Trentino alcune significative modalità di gestione del fenomeno migratorio introdotte in alcune altre realtà nazionali e regionali. Al più presto avvierà dunque il proprio iter legislativo nell’ambito del Consiglio provinciale e pur essendo giunto quasi al termine della legislatura si tratta comunque dell’unico atto politico che intende affrontare, con coraggio e novità, un tema di rilevante portata come quello dell’immigrazione.

Lazio, legge per l’integrazione degli immigrati

Lazio, legge per l’integrazione degli immigrati
A sostegno della formazione professionale e universitaria e dell’inserimento nel mondo del lavoro, anche in forma imprenditoriale. Promuovere azioni volte ad integrare gli immigrati nel Lazio.
E’ questo l’obiettivo della legge approvata dalla regione Lazio, che ha per oggetto ‘le disposizioni per la tutela dell’esercizio dei diritti civili e sociali da parte dei cittadini stranieri immigrati nel territorio laziale’. Nello specifico la legge mira a favorire la partecipazione alla vita civile e l’accesso ai pubblici servizi per gli immigrati che risiedono o hanno domicilio stabile nel Lazio. Importanti le disposizioni a tutela del diritto allo studio, all’assistenza sociale, sanitaria, abitativa e a sostegno della formazione professionale e universitaria e dell’inserimento nel mondo del lavoro, anche in forma imprenditoriale.
La legge prevede, inoltre, l’istituzione di un coordinamento permanente tra gli assessorati competenti e tre organismi: la Consulta regionale per l’immigrazione, le assemblee provinciali di cittadini stranieri immigrati e l’Osservatorio regionale contro il razzismo e la discriminazione. Alla regione spetta promuovere azioni di monitoraggio e assistenza per le vittime di discriminazioni e di ‘situazioni di violenza o di grave sfruttamento’. Per l’attuazione delle disposizioni previste dalla nuove normativa verranno stanziati per il triennio 2008-2010 circa 2,5 milioni di euro. Parte dei fondi messi a disposizioni verranno impiegati per il miglioramento delle condizioni ambientali dei centri di permanenza temporanea e al finanziamento dei centri di accoglienza.
“La regione Lazio - spiega Luisa Laurelli, presidente della commissione Sicurezza della regione - si pone all’avanguardia e in controtendenza con le politiche del governo nazionale. Non è additando all’opinione pubblica i rom e gli immigrati come delinquenti da carcerare, la risposta che si deve dare alla domanda di sicurezza proveniente da tanti cittadini. Accogliere i migranti, i diversi da noi è l’unica politica efficace per garantire il rispetto della legalità e il diritto alla sicurezza di tutti i cittadini italiani e stranieri immigrati”.
Fonte: Labitalia

Progetto “Rete civica: Brescia aperta e solidale”

Progetto “Rete civica: Brescia aperta e solidale”

Con il primo incontro a livello cittadino dei referenti dei quartieri tenutosi il 10 febbraio nella sala ACLI, il progetto “Rete Civica: Brescia aperta e solidale” ha iniziato la fase che porterà in breve al suo riconoscimento ufficiale da parte della Giunta comunale e quindi alla costituzione della “Consulta cittadina per l’integrazione e la cittadinanza”. L’iniziativa della città (affidata alla gestione delle ACLI e dell’associazione “Centro migranti della diocesi” con la supervisione di Carlo Melegari, direttore del Cestim di Verona) è partita oramai quasi due anni fa (primavera del 2006) come percorso di partecipazione a livello di prossimità di quartiere per nuovi e vecchi cittadini. “La Rete civica si costituisce partendo dalla promozione, quartiere per quartiere, di iniziative mirate a dare avvio e consistenza a comitati, associazioni, gruppi misti per genere, per età, per cultura e per religione, composti – possibilmente in maniera paritetica - da cittadini italiani e da immigrati stranieri o di origine straniera, tutti residenti nel quartiere. Lo scopo dichiarato, sulla base di un modello di statuto cui fare riferimento, è quello del riconoscimento reciproco, al di là della nazionalità di appartenenza, come concittadini, con pari diritti, pari doveri e pari interessi al benessere del quartiere in cui si abita. Che è anche il benessere della relativa circoscrizione e della città. Per poi agire di conseguenza con la programmazione e la realizzazione di eventi atti a favorire - sempre a partire dal proprio quartiere - la coesione sociale attraverso l’incontro gratificante (feste rionali), il dibattito civile (assemblee aperte su temi di particolare rilevanza sociale), la proposta costruttiva (a fronte di problemi da risolvere), l’impegno comune nel volontariato (per la cura dell’ambiente, per l’attenzione alle fasce più deboli della popolazione locale)” (dalla Scheda informativa).
Si tratta in sostanza di far passare il principio che il quartiere è di chi ci vive e se ne occupa, aiutando a sviluppare rapporti di interazione positiva e di solidarietà. Non si tratta di un progetto specifico per i migranti, ma di un’iniziativa per la convivenza e la rivitalizzazione dei quartieri che presenta come prima ricaduta positiva proprio quella di includerli a pieno titolo e in tutti gli aspetti della vita del quartiere. E’ infatti noto che spesso l’ente pubblico (in Italia e non solo) accetta i nuovi cittadini come interlocutori soltanto sulle tematiche che li riguardano da vicino in quanto migranti (e cioè sui problemi specifici originati dal fatto di non possedere la cittadinanza italiana), ma di norma non interloquisce con essi quando si tratti di problemi di ordine generale (come ad esempio le scuole, o i trasporti, o la raccolta dei rifiuti) come se essi presentassero soltanto gli specifici problemi ed esigenze del migrante, e non anche quelli di qualsiasi abitante (indipendentemente dalla loro nazionalità) di un determinato territorio. Seguendo questa logica riduttiva si è infatti imbrigliato il lavoro (e le competenze) di molti organismi di rappresentanza politica degli stranieri, come Consulte e consiglieri aggiunti, che negli ultimi dieci anni hanno conosciuto un notevole sviluppo in tutto il Paese.
Indirettamente, il progetto rete civica può anche essere considerato come una risposta al tanto citato problema della sicurezza (o meglio della crescente percezione di insicurezza) nelle nostre città: un risposta che non passa attraverso telecamere o velleitari controlli di polizia a tappeto, ma che va alla radice del problema: la composizione delle nostre città sta repentinamente cambiando, è già cambiata, è in continua trasformazione, e alcune fasce della popolazione (spesso quelle maggiormente sfavorite in termini socio-economici) leggono questo cambiamento sotto forma di minaccia alla propria identità e financo alla propria esistenza. La prossimità non indifferente, il confronto sui problemi comuni della vita di relazione quotidiana, la reciproca conoscenza, abbattono il muro di diffidenza (generato dalla mancata conoscenza) che ci separa dall’altro e generano nuova socialità, accettazione reciproca, sicurezza e coesione sociale.

Lo stato attuale del progetto e le fasi precedenti
Attualmente, dopo quasi due anni di incontri e assemblee nei 30 quartieri della città, il progetto Rete civica dispone di gruppi stabili in tutte le nove circoscrizioni (destinate fra breve a diventare cinque) e in 15 quartieri[1]. Ognuno di questi gruppi ha anche cooptato, come previsto dal progetto, quattro rappresentanti (due donne e due uomini, due stranieri e due italiani). Entro il mese di febbraio (e cioè in tempo utile prima delle elezioni comunali di primavera) si cercherà di portare l’assemblea dei gruppi quartiere (o meglio, dei loro rappresentanti) all’approvazione formale da parte della Giunta (ed eventualmente, del Consiglio) e quindi alla costituzione ufficiale della “Consulta cittadina per l’integrazione e la cittadinanza”, che andrà in tal modo ad affiancare le altre consulte già esistenti nel Comune di Brescia. Il raggiungimento di questo risultato, niente affatto scontato all’inizio del progetto, ha comportato una lenta marcia di avvicinamento, composta di quattro fasi:

presentazione dell’idea del progetto in incontri individuali con tutte le associazioni del territorio (sia di italiani che di o per stranieri) potenzialmente interessate al settore di intervento, per guadagnarne da una parte il consenso all’iniziativa e dall’altra per coinvolgerle come soggetti “reclutatori” di partecipanti alle assemblee di quartiere. Alle associazioni è stato infatti richiesto di attivare la propria rete di relazioni nei quartieri per assicurare un buon numero di partecipanti nella delicata fase di avvio delle assemblee di quartiere;
prime assemblee esplorative di quartiere: in questa fase si è cercato di sondare la disponibilità del quartiere ad intraprendere la realizzazione di una rete di relazioni e di iniziative di prossimità per rafforzarne la coesione sociale. Nelle assemblee si è avuto cura di mantenere un profilo basso, cercando di stimolare la discussione su tematiche di interesse comune e accompagnando la possibile emersione di uno o più soggetti “leader”, capaci nei futuri incontri di promuovere la partecipazione e le attività del gruppo;
organizzazione di una presentazione pubblica, a livello cittadino e con la partecipazione del Sindaco, del progetto, allo scopo di dargli risonanza mediatica e innescare in tal modo un effetto “palla di neve” nei confronti dei quartieri ancora da coinvolgere, dando allo stesso tempo ai quartieri già partecipanti la consapevolezza di far parte di un’iniziativa di rilevanza comunale, pienamente appoggiata dal governo della città;
formalizzazione e approfondimenti delle assemblee di quartiere. Nel prosieguo delle riunioni a livello di quartiere, si è passati all’individuazione e alla nomina, da parte degli stessi partecipanti, del gruppo di quattro referenti-portavoce sopra menzionati per dare stabilità e continuità al lavoro delle assemblee stesse. Nella stessa ottica, da un punto di vista contenutistico, si è passati alla definizione di alcune prime iniziative concrete nel quartiere, per dare sostanza all’iniziativa e guadagnarle al tempo stesso ulteriore sostegno.

Nelle assemblee di quartiere hanno preso corpo diverse iniziative concrete, che riassumiamo a titolo esemplificativo: un corso di alfabetizzazione per le donne straniere, sensibilizzazione sulla tematica della donazione del sangue, organizzazione di una festa di quartiere, cena di reciproca conoscenza all’aperto in un parco (i partecipanti hanno contribuito con proprie pietanze), visita del centro culturale islamico, serata multi- e interculturale, serate informative sulle tradizioni dei Paesi di origine degli abitanti del quartiere, giornata ecologica sul tema della raccolta differenziata dei rifiuti, partecipazione alle giornate del FAI (Fondo Ambiente Italiano), etc.
Come si vede, le iniziative sono le più varie: ad esempio, in alcune vengono direttamente tematizzati l’incontro e la relazione fra l’italiano e lo straniero (incontri e feste multiculturali) per favorire un clima di reciproca conoscenza, l’ abbattimento delle barriere di diffidenza e il miglioramento del clima all’interno del quartiere, in funzione fra l’altro di prevenzione di atti di intolleranza; in altre si affrontano tematiche di interesse comune (come la raccolta differenziata) in genere di non facile assimilazione da parte di tutte le categorie di popolazione (straniera o italiana che sia), con l’intento di spegnere sul nascere l’insorgere di possibili malumori e pregiudizi connotati etnicamente e allo stesso tempo promuovere e stimolare il senso di responsabilità anche dei cittadini stranieri attraverso la loro accettazione immediata e completa come cittadini a tutti gli effetti del quartiere. In altri ancora, a prima vista privi di grande rilevanza (donazione del sangue, giornate FAI), si è voluto rimarcare con forza quanto appena detto sull’accettazione a 360° degli stranieri nella vista pubblica locale, e allo stesso tempo esercitare una funzione educativa nei confronti della cittadinanza autoctona, portata da un’informazione distorta ad avere una concezione limitata e negativa del ruolo degli stranieri nella società civile.
Ovviamente gli esempi potrebbero moltiplicarsi, e in ogni realtà sarà necessario individuare quelli che maggiormente si attagliano al contesto locale e allo stesso tempo presentano le maggiori possibilità di successo. A Bolzano, ad esempio, proprio la recente introduzione della raccolta differenziata della frazione umida potrebbe fornire uno spunto interessante per avviare un’iniziativa di sensibilizzazione, e sviluppare il senso di appartenenza intorno ad un tema che coinvolge tutti. Altre tematiche da esplorare potrebbero essere quelle relative alla qualità della vita nel quartiere per bambini e giovani e allo sport (connesso con l’associazionismo sportivo e la fruizione delle strutture pubbliche). Le tematiche oggetto delle iniziative sono certo importanti e vanno selezionate con cura, ma è necessario non perdere di vista la rilevanza forse ancora maggiore che assume “il processo”, e cioè l’elemento delle partecipazione e della condivisione da parte di tutti gli abitanti del quartiere, che costituisce in definitiva l’elemento qualificante di tutto il progetto.

Applicabilità del progetto Rete civica sul territorio di Bolzano
Una caratteristica generale di progetti e iniziative scaturiti da un territorio ben preciso e sviluppati in funzione delle sue peculiarità è la difficile replicabilità sic et simpliciter in contesti diversi da quello originario. D’altra parte è necessario riflettere sul fatto che ogni progetto trova giustificazione nella propria capacità di affrontare e risolvere un problema, una situazione critica. Il progetto Rete civica di Brescia è infatti nato per dare una risposta positiva ad un problema di interazione, di relazione di solidarietà, di condivisione del territorio da parte di stranieri e autoctoni che risulta fortemente deficitaria in città, fino a far paventare reazioni di intolleranza da parte della cittadinanza autoctona e di distacco dalla vita pubblica e dagli spazi sociali da parte di quella immigrata. Una problematica non dissimile si ritrova anche a Bolzano, almeno stando alle conclusioni del rapporto di ricerca “La presenza-assenza degli immigrati” (Studio RES, 2007) commissionato dal Comune. Dal rapporto emerge infatti chiaramente (pur con differenze fra diversi quartieri) una situazione di “distanza sociale, di percorsi paralleli, di separazione fra cittadini che condividono tempi e luoghi senza conviverci”, una presenza immigrata che, ad esempio “nel quartiere S.G., Bosco, è vissuta principalmente dagli abitanti in termini invadenti, competitivi, destabilizzanti”. La distanza nella società civile rimane ancora ampia, e gli stranieri sono “ancora troppo assenti nei luoghi di aggregazione”. Oltre alla natura (se non all’ampiezza) del problema, sembrerebbero esserci somiglianze anche nelle soluzioni proposte dal rapporto, che sottolinea l’”importanza di elaborare proposte culturali tali da coinvolgere sia gli immigrati sia i locali”, e sottolinea la necessità di attuare “un coordinamento fra le varie associazioni e le varie comunità, (…) sia per le famiglie italiane sia straniere”.
Pur con queste innegabili similitudini, è ovvio che una trasposizione automatica del progetto Rete civica nel contesto bolzanino andrebbe accuratamente evitato, a favore di un adattamento alla nostra situazione locale dell’idea base dell’iniziativa lombarda, che è poi quella di promozione della partecipazione partendo da un contesto di vicinato e prossimità. Una differenza di partenza fondamentale fra i due contesti è l’approdo del progetto di Brescia alla costituzione di una Consulta cittadina per l’integrazione, che i responsabili comunali vedono in alternativa alla creazione di una Consulta elettiva degli stranieri, che infatti a Brescia non è mai stata promossa.
E’ quindi evidente che a Bolzano la finalità non sarebbe quella di costituire una Consulta, che inevitabilmente andrebbe a sovrapporsi a quella già esistente. Proprio la presenza della Consulta elettiva, però, può fornire una leva per garantire un’adeguata partecipazione all’iniziativa, almeno da parte straniera, consentendole allo stesso tempo una maggiore visibilità a livello di quartiere. Il fatto che l’azione della Consulta abbia avuto fino ad ora un limitato impatto sulla vita dei quartieri (e il conclamato bisogno di partecipazione) costituisce probabilmente l’argomento giusto per assicurarsi l’appoggio dell’organismo elettivo degli stranieri. Oltre alla Consulta (che può essere il motore, ma non il depositario esclusivo dell’iniziativa) è necessario cercare ed ottenere il consenso di tutte quelle associazioni (di immigrati, di autoctoni, miste) che, a livello cittadino, hanno a cuore il processo di inclusione degli stranieri. Né va certo dimenticato il sindacato, che anche secondo il rapporto citato si conferma come una delle realtà maggiormente in grado di stimolare la partecipazione degli immigrati. Come già detto, comunque, non si tratta di un progetto “per gli stranieri”, ma piuttosto “con” gli stranieri, e cioè in sostanza di un’iniziativa vòlta a promuovere in generale cultura della prossimità e coesione sociale a livello micro. Sarà quindi di fondamentale importanza coinvolgere fin dall’inizio sia il livello istituzionale (e cioè i consigli di circoscrizione) che il mondo associativo attivo a vario titolo nei quartieri della città. Un lavoro di mediazione e raccordo, quello appena delineato, certamente non facile né rapido, e neppure definitivo, dato che la costruzione della partecipazione è un compito che va perennemente sostenuto ed accompagnato. Ma è un lavoro preparatorio certamente non inutile, in quanto può essere visto come una fase esplorativa per saggiare la rispondenza e il grado di accettazione dell’intera iniziativa, e dunque utilizzato per correggerne in corso d’opera l’impostazione teorica.
Come si vede da queste brevi note (che hanno solo il fine di stimolare il dibattito, e non certo l’ambizione di costituire un “documento di progetto”), si tratta di un progetto certamente ambizioso e che necessita di un’accurata preparazione ed elaborazione, ma altrettanto necessario se si vogliono prevenire sul nascere possibili deragliamenti nel processo di inclusione socio-culturale dei nuovi cittadini e mantenere la strada spianata per una coesione sociale niente affatto scontata in una realtà come quella di Bolzano.


Paolo Attanasio
Marzo 2008












[1] Il territorio comunale di Brescia è attualmente suddiviso in 9 circoscrizioni, che fra breve saranno ridotte a 5; ogni circoscrizione comprende poi un certo numero di quartieri (in totale 30), che rispondono ad una suddivisione più antica della città, ma che conservano intatti i propri confini sul territorio. La nuova suddivisione amministrativa non andrà quindi a modificare la struttura o il numero dei quartieri, ma semplicemente la loro collocazione all’interno delle nuove circoscrizioni.